Il prigioniero coreano, il duro affresco della vita tra le due Coree

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Il prigioniero coreano

Il prigioniero coreano (The Net, Corea del Sud, 2016) Regia Kim Ki-duk Interpreti Ryoo Seung-Bum, Lee Won-geun Distribuzione Tucker Film Durata 1h e 54′

In sala dal 12 aprile

Povero e felice (“Quando sei appena sveglio sei particolarmente bello!”), il pescatore Nam Chul-woo vive con moglie e figlioletta in un villaggio di confine, nella Corea del Nord. Una mattina, la sua rete si impiglia nel motore e alla deriva, vanamente minacciato dai soldati, scivola nel Sud. Raccolto, viene sospettato di spionaggio, rinchiuso, interrogato e picchiato. Lui, fedele patriota sino all’ingenuità, vorrebbe solo tornarsene a casa, i sudcoreani vorrebbero almeno fare di lui un uomo che ha scelto di disertare. Ma come gli dice una guardia, l’unico che gli crede: “più forte è la luce, più grande è l’ombra. La libertà non garantisce la felicità”. Il problema è che, quando finalmente viene fatto tornare in patria, scagionato, mentre ufficialmente viene onorato come un eroe, in realtà subisce un trattamento simmetricamente analogo e spietato. Ma Nam Chul-woo è più cocciuto che fortunato e vuole soltanto tornare dalla moglie e dalla figlia.

Duro e scabroso, intenso e lucido, uno di quei film del miglior Kim Ki-Duk, di quelli che temevamo che, persosi nei suoi travagli spirituali, non sarebbe più riuscito a realizzare (pensiamo a L’isola, Indirizzo sconosciuto, La samaritana, Ferro 3, persino Pietà). Invece Il prigioniero coreano, colpisce con equanime animosità “umanista” tanto il bigio e angosciante squallore del Nord, dominato da un regime militare paranoico e burocratico, quanto la altrettanto paranoica società consumista e priva di pietas del Sud liberale, là dove “non è facile vivere se nasci senza soldi” come gli dice una giovane prostituta picchiata che lui, furbescamente abbandonato a Seul dalle autorità perché si entusiasmi a contatto della democrazia, salva da un pestaggio. Un film che piacerà senz’altro a quelli che hanno il cuore aperto e sensibile, molto meno ai notabili dei due paesi (ammesso e ovviamente non concesso che verrà mai visto a Pyongyang e dintorni). L’interprete principale è semplicemente splendido, si chiama Seung-bum Ryoo ed è già stato visto in Italia (ma dubitiamo che qualcuno lo ricordi) in Mr vendetta e in Arahan- potere assoluto (ma è anche protagonista di tanti splendidi polizieschi coreani che han fatto la gioia del Far East Film Festival di Udine, quest’anno dal 20 al 28 aprile). La Tucker, specializzata nella cinematografia dell’Estremo Oriente lo ha visto alla Mostra di Venezia del 2016 e ora è riuscita a distribuirlo nella nostre sale. Fortunatamente e meritoriamente.