In guerra, la lotta nelle fabbriche è ancora realtà: la recensione

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Francia, 2018 Regia Stéphane Brizé Interpreti Vincent Lindon, Mélanie Rover, Jacques Borderie Distribuzione Academy Two Durata 1h e 53′

Al cinema dal 15 novembre 2018

LA STORIA – La tedesca Dinke, proprietaria della fabbrica Perrin in Francia, annuncia la chiusura della stessa e il licenziamento dei 1100 operai. Nonostante avesse firmato pochi anni prima, in cambio di varie clausole favorevoli, un patto secondo cui per 5 anni il posto di lavoro sarebbe stato salvo e garantito. La reazione dei lavoratori è dura, i sindacati paiono compatti, anche perché la fabbrica è tutt’altro che in perdita, dando un utile annuale di ben 17 milioni di euro agli azionisti. Tra loro spicca Laurent Amédèo, intelligente e arrabbiato: «O mantenete la promessa fatta e noi torniamo a lavorare oppure non mantenete la promessa, nonostante l’accordo firmato, e noi continuiamo a bloccare la produzione e la merce». Sarà uno scontro durissimo, che la nazione intera segue e in cui il governo si dispone a fare da mediatore, ma come vincere la strategia padronale, il cui AD Hauser si rifiuta di incontrare i rappresentanti degli operai e i suoi dirigenti si limitano a ripetere: «siamo tutti sulla stessa barca», ben sapendo che l’altra parte è destinata a dividersi?

L’OPINIONE – Ogni tanto, dall’Europa, qualcuno riesce a ricordarci che la lotta di classe esiste e che la vera, terribile, epocale battaglia, è quella contro la delocalizzazione, il trasferimento della produzione verso luoghi in cui il costo del lavoro è minore, a garantisce, sempre e innanzitutto, il profitto degli azionisti. In questo caso è Stéphane Brizé (uno di cui non si può più fare cinematograficamente a meno: tre tiri e tre centri, vedi anche La legge del mercato, sempre con Lindon, e l’asciutto Una vita, da Maupassant).

Implacabilmente addosso allo scontro operai-padroni, come un documentario e non una fiction, il film vibra di un’autenticità e di una indignazione che diventano partecipazione comune anche nello spettatore. La cinepresa finge di perdere il controllo filmando la concitazione della lotta e la musica si fa incalzante come in un thriller politico. Al magnifico Vincent Lindon, unico professionista di un cast di facce giuste, che recita perfettamente integrato nello spirito e nella realtà sociale operaia, viene riservato l’unico, drammaturgicamente necessario, “allargamento” al privato del suo personaggio: separato, sta per diventare nonno eppure è tra tutti quello più intransigente, lucido e che ha ben chiaro cosa ci sia in gioco “a monte”, oltre alla difesa del posto. Film compatto, serrato, avvincente, la cui morale (diciamo così) è subito chiarita dalle parole di Brecht che aprono la visione: “Colui che lotta può perdere, colui che non lotta ha già perso”.