LA FABBRICA DEL ROCK

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The Wrecking Crew, Usa, 2008 Regia Denny Tedesco Distribuzione Wonder Durata 1h e 41′

In sala dal 

15 ottobre

Se qualcuno vi dicesse che The Wrecking Crew è stato uno dei gruppi più importanti della storia del pop-rock e che ha venduto milioni di dischi ci credereste? Eppure è tutto vero: il documentario racconta di quel particolare gruppo di musicisti di studio che negli anni ’60 (specialmente) fecero il successo di tante canzoni, colonne sonore, spot pubblicitari. Una storia segreta e affascinante di musicisti quasi sempre ben lontani dai riflettori.

Di chi è la chitarra che “twanga” in Batman o Bonanza? Risposta: di Tommy Tedesco. Di chi il basso di Beat Goes On (successone di Sonny e Cher) e di tanti brani dei Beach Boys? Risposta: di Carol Kaye. Di chi il sax che rese indimenticabile la musica (e la camminata) della Pantera rosa? Risposta: di Plas Johnson. In omaggio al padre Tommy, simpatico e funambolico chitarrista, nonché richiestissimo session man e conferenziere, il figlio Denny ha raccolto (qualche anno fa) immagini, testimonianze, chiacchierate e soprattutto musiche suonate da questo eterogeneo gruppo che abitò gli studios musicali di Los Angeles creando, prima, durante e dopo i Beatles un sound a loro alternativo, unico e inimitabile. Dietro a pop star come Sonny e Cher, Mamas and Papas, Ian e Dean, i Beach Boys, il leggendario Wall of Sound che caratterizzava la produzione di Phil Spector, Nancy Sinatra, il fenomeno tv dei Monkees (gruppo beat inventato per il piccolo schermo), magari anche qualche brano per Elvis, Nat King Cole, Sam Cooke o Frank Sinatra, c’erano questi ora anzianotti signori magari dalla voce tremolante (qualcuno tra l’altro si è già trasferito nel paradiso dei musicisti). Pop, Rock, Soul, Jazz, Rythm and Blues, Colonne sonore e Spot: non c’erano ostacoli e soprattutto non c’erano orari. Qualcuno è riuscito anche a diventare un divo (per stagioni più o meno lunghe), vedi countrymen come Glenn Campbell o pianisti rock come Leon Russell, ma ancora sanno ricordare con il giusto affetto e stima quegli anni e quei colleghi. Un lato del rock, questo, che non conoscevamo molto; persone che dall’occupazione ininterrotta a cottimo passarono durante gli anni Settanta – con l’esplosione delle rock band più professionali e con la beatificazione del live act – dietro le linee, sino magari al dimenticatoio per tanti. Questo film è un tributo alla loro arte, piacerà tantissimo a chi ha vissuto quegli anni e magari ancora è deliziato schiavo di quegli orecchiabili riff. Ai più giovani invece probabilmente i tanti ricordi, i tanti successi di allora oggi dimenticati, non faranno neppure il solletico (che moti di nostalgia potrebbero provare?). Spiace per loro.

Massimo Lastrucci