La terra dell’abbastanza: ecco perché è l’esordio più sorprendente dell’anno

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La terra dell'abbastanza
La terra dell'abbastanza

Italia, 2018 Regia Damiano D’Innocenzo, Fabio D’Innocenzo Interpreti Andrea Carpenzano, Matteo Olivetti, Milena Mancini, Max Tortora, Luca Zingaretti Distribuzione Adler Entertainment Durata 1h e 36′

Al cinema dal 7 giugno 2018

LA STORIA – Educazione criminale di due coatti. Mirko e Manolo sono due studenti all’ultimo anno dell’istituto alberghiero, con tanta vitalità e sogni abbastanza piccoli nel cassetto. Una notte, casualmente, con la macchina fuori città investono e uccidono un passante. Che fare? Intanto scappare e poi chiedere aiuto al padre di Manolo, un personaggio alla deriva che vive in un garage. Questi li tranquillizza invitandoli a starsene zitti e quieti; poi, quando scopre che l’investito è un “infame”, cioé un malavitoso cui il clan dei Pantano sta dando da tempo la caccia: “amo svortato!” dice e spinge il figlio ad andare dal clan e autodenunciarsi come killer volontario e unico.

Dopo incomprensioni e litigi che potrebbero incrinare il loro rapporto, entrambi con incoscienza e baldanza si trasformano in “apprendisti criminali” per il clan. Gestiscono prostitute, coprono pedofili, al bisogno uccidono. E mentre si esaltano negli agi che la piccola prosperità concede, per la preoccupazione – che si trasforma in seguito in ostilità – della mamma di Mirko, scivolano progressivamente in situazioni sempre più trucide e pericolose. A cui reagiranno in maniera imprevedibilmente diversa (“Ci pensi mai a quella sera?” “A volte. Strano eh…da zero a mille così…buh”).

L’OPINIONE – Un debutto folgorante. Non ancora trentenni, gli esordienti Fabio e Damiano D’Innocenzo trovano modi narrativi ed espressivi assai efficaci (e personali) per una storia semplice e diretta, magari già affrontata da altri (la periferia romana è ormai un sottogenere a parte del cinedramma criminale nostrano). Stupisce ad esempio la maturità con cui scelgono di non fare della violenza un elemento spettacolare e per questo anche ambiguo. A volte la mostrano nella sua crudezza e velocità, a volte si distanziano grazie all’uso di una ripresa fotografica molto consapevole, a volte la tengono fuori campo, senza compiacimenti voyeuristici ma sottolineando piuttosto gli effetti che questa produce nelle menti dei due ragazzi, una immoralità che pare indifferente e che genera conseguenze irrimediabili.

E lo confermano gli autori: “Volevamo raccontare come è maledettamente facile assuefarsi al male! Vedere fin dove si può fingere di non sentire nulla”. Oltretutto questo uso sobrio di cosa e come raccontare sposta il peso della tensione tutto sugli attori che rispondono ammirevolmente, sia i protagonisti inesperti ma non acerbi, anzi tutt’altro (eppure Andrea Carpenzano vanta solo due film e un po’ di tv con Immaturi la serie e Matteo Olivetti è praticamente un esordiente), sia i volti noti di contorno e qui sorprendenti, come Max Tortora padre rovinato che rovina, Milena Mancini, madre ringhiosa, anima di periferia che non ha perso dignità e umanità e Luca Zingaretti, lucido boss di borgatara cattiveria luciferina. Presentato con lusinghieri consensi a Berlino, ha faticato a trovare una distribuzione. Fortunatamente ora arriva sugli schermi. Prodotto dalla Pepito e grazie alla Adler Entertainment. Fortunatamente, perché è uno dei più bei film italiani della stagione, Di certo il più inatteso.