Lacci – La recensione

Film in uscita mercoledì 30 settembre 2020

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Foto di Gianni Fiorito.

Il vincolo matrimoniale è ancora il cardine, psicologico prima ancora che culturale, della società italiana. Durissimo uscirne indenni a volerlo sciogliere. Prendiamo il giornalista Aldo e la volontariamente casalinga Vanda…hanno due figli ancora ben aldiqua della pubertà ma già il loro menage è avvitato su se stesso, almeno sino a quando il marito non rivela, dopo una apparente amena festicciola danzante per i bimbi al ritmo di “Lasciati baciare col Letkiss” ( pezzo di bravura del regista e del montaggista) che ha un’amante (Livia) e che forse non è neppure una scappatella. “Ma perché me lo hai detto?”: comincia un duello fatto di sottili colpi bassi oltre l’autolesionismo (c’è anche un suicidio mancato), con i figli, Anna e Sandro, presi in mezzo e usati ora come scusa ora come clava. Insomma se tradire è dura, abbandonare sarà quasi impossibile. Li sorprendiamo ancora insieme infatti, decenni dopo, stanchi e virtuosamente impegnati a rispettare e a non far trasparire la pace armata (o piuttosto la guerra non belligerante), per amore dei figli cresciuti e incasinati la loro parte. Per non parlar del gatto.

 

Foto di Gianni Fiorito.

Domenico Starnone (scrittore mai banale anche quando sta sul mainstream politically correct) ha scritto il romanzo puntando all’universale attraverso il particolare di una specifica storia. Il titolo “Lacci” è azzeccato e ambivalente: da una parte allude ai legami che imprigionano e che non si sciolgono; dall’altra, nello specifico, si riferisce alle stringhe legate in un modo particolare ed è “la madeleine” che riporterà Aldo verso casa. Daniele Luchetti che ama sorprendere i suoi cinespettatori in una discontinuità di risultati che testimonia comunque la qualità della sua tavolozza, anche quando lavora con l’ispirazione intermittente (Momenti di trascurabile felicità e Io sono tempesta sono le ultime sue fatiche), ci regala un dramma tra le mura (poche sono le uscite tra le vie di Napoli, dove la coppia vive, e Roma, dove il giornalista lavora) che a volte possiede l’acidità della furia sorvegliata di tanto teatro antiborghese. Ci si può appassionare, se si empatizza, allo scontro tra la meschina passività finto problematica e onnicomprensiva dell’uomo e la perfida vendicatività della donna “oltraggiata” e gli attori fanno il dovere loro. Certo bisogna accettare il fatto che Aldo da giovane è Luigi Lo Cascio e da anziano Silvio Orlando; parimenti Vanda si trasforma da Alba Rohrwacher a Laura Morante (ma le due conservano clamorosamente le stesse inflessioni nella parlata: chi “imita” chi?), mentre i ragazzi cresciuti e vogliosi di rivolta sono Giovanna Mezzogiorno e Adriano Giannini e Linda Caridi è la convincente “terza incomoda”.

Il film è stato scelto per inaugurare fuori concorso l’ultima kermesse veneziana ed è stato accolto con la cortesia e la nonchalance della sottovalutazione. Sbagliato, perché il film è invece interessante e riesce anche a non perdere mai il ritmo, pur di fronte a tematiche così frequentate dalla letteratura e dello spettacolo che imitano la vita.

VOTO: (★★★)