LETTERE DA BERLINO

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1940. La Germania nazista è alla conquista dell’Europa, ma già conta le sue prime vittime. L’unico figlio di Otto e Anna Quangel muore al fronte e per questo la coppia decide di sfidare il regime con un semplice ma coraggiosissimo atto di resistenza. Il caporeparto (è il suo lavoro) comincia infatti a scrivere cartoline anonime di denuncia contro Hitler e a diffonderle tra le case della capitale. Si tratta di un atto passibile della pena di morte per decapitazione, ma l’ “Uomo ombra” (così è battezzato dal lucido ispettore Escherich, dai metodi moderni ma efficaci che lo sta braccando) non rinuncia, spalleggiato dalla consorte, anzi a volte rimane rischiosamente là dove le ha imbucate, (“voglio vedere cosa succede quando le persone le leggono”).

Dal romanzo Ognuno muore solo pubblicato nel 1947, lo stesso anno della morte del suo 54enne autore, Hans Fallada (il cui libro più famoso è Adesso pover’uomo?) a sua volta ispirato a un fatto realmente accaduto, il dramma di Vincent Peretz (più noto come attore in Cyrano e La regina Margot) si potrebbe definire come un prontuario del film antinazista: vibrante di emotività e di giusta rabbia/indignazione, dolente ma con messaggio di speranza sul finale. Questa prevedibilità nuoce sulla sua efficacia; se non si trovano linguaggi nuovi per denunciare l’orrore e l’infamia (come invece ha fatto il recente capolavoro Il figlio di Saul, per esempio), le migliori intenzioni annaspano e annegano nel già visto (vedi la vicenda della coinquilina, l’anziana ebrea che vive seminascosta tra la solidarietà spesso impensabile di pochi o l’inutile smargiassa crudeltà degli ufficiali delle SS).

Così Lettere da Berlino, pur nella sua impeccabile costruzione tecnica, si fa vedere come una soap opera o un manifesto da catechismo democratico persino fastidioso. Sua (relativa) fortuna è lo spessore dei suoi interpreti; se Emma Thompson è una maschera tragica che sfiora peraltro l’autocompiacimento (ma in tribunale è magnifica), Brendan Gleeson è un titano: corporale, proletario, lento e inarrestabile, capace di indossare senza inutile retorica o gigioneria l’abito del tipo ordinario che si erge eroicamente contro le nefandezze del potere e della dittatura.