Una madre vedova punta sul figlio adolescente, promettente giocatore di calcio, le speranze di una vita migliore, inoltrandosi tra gli ingranaggi tutt’altro che limpidi, e molto costosi, dei procuratori calcistici legati all’accesso al calcio professionistico, mentre nel nome di “provini” considerati determinanti si bruciano speranze, energie e ogni sano legame familiare e lavorativo. Le vicende finiscono col prendere una piega non scontata.
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L’OPINIONE
Per realizzare un film credibile, coinvolgente, non c’è per forza bisogno di una storia sensazionale e di interpreti pluridecorati. Ne è la prova Mancino naturale, applaudito già in ottobre ad Alice nella Città durante la Festa del Cinema di Roma, storia di adulti che faticano a tenere il passo della vita in un mondo di periferie, sacrifici, soldi che non ci sono e rapporti a tratti feroci, e ripongono nei figli sogni di rivincita.
Una vicenda in cui è possibile trovare tratti emblematici della realtà urbana di oggi, e che trova il punto di forza nella credibilità degli attori. Su tutti, Claudia Gerini, probabilmente nella sua migliore prova attoriale di sempre, nel ruolo di una madre disperata e disillusa, pronta persino a calpestare se stessa pur di proteggere il suo sogno di vedere il figlio diventare calciatore professionista. Claudia è praticamente sempre in scena, offrendo un ventaglio di sfumature ampio e convincente, senza mai eccedere e divenendo l’emblema della terribile difficoltà per tante donne di far quadrare i conti con la vita.
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Sul tema delle aspettative dei genitori nei confronti dei figli, atleti di talento, La partita, di Francesco Carnesecchi (2018), con Francesco Pannofino, Giorgio Colangeli, Simone Liberati, Alberto Di Stasio e Lidia Vitale, storia di un padre pronto a chiedere al figlio, giovanissimo campione, di “vendere’’ un incontro di calcio locale per consentirgli di ripagare un debito.
