“NERUDA”: IL NOSTRO COLPO DI FULMINE DELLA SETTIMANA

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Nei tardi anni Quaranta, la Guerra Fredda passa anche attraverso il Cile. Il governo perseguita il Partito Comunista e Pablo Neruda, poeta e parlamentare, lo denuncia con parole sferzanti. Braccato dall’efficiente e formale Prefetto Peluchonneau, il letterato si diverte a nascondersi (stuzzicando le autorità), medita sull’esilio e non rinuncia alla sua vita di libertino gaudente e fedele alla causa, protetto da alcuni militanti. Ma, inevitabile e avventuroso, arriverà anche il momento della fuga. Anche perché è così che potrà dare un senso compiuto al suo ruolo di rivoluzionario.

Domanda una cameriera al futuro Nobel: «io faccio una vita dura, mi batto e credo nel comunismo, ma quando avverrà tutti noi vivremo come vive lei o lei vivrà come viviamo noi?». Interrogativo fondamentale che il letterato prova a svicolare con brillantezza retorica accompagnata dal costante senso di appartenenza al popolo. Ecco Neruda è questo, una para-biografia (i fatti storici sono però tutti veri) attraversata da profonde questioni artistiche, politiche e filosofiche (Pablo Larraín tenterà di lì a poco di rifare lo stesso gioco, seppur in maniera più levigata – cioè seguendo Hollywood – con la superproduzione Jackie). Qui invece orchestra un ammirevole “gioco a due” che riesce quasi nell’impresa impossibile di rendere palpabile la funzione epica della poesia («declamala con la voce da poeta» sussurra la moglie all’autore del futuro capolavoro Canto General, e lui con voce un po’ lamentosa da mantra tibetano inizia a declamare versi fascinosi come «vengo dalla pagina bianca, vengo a cercare il mio inchiostro nero»).

Gustoso e geniale, Pablo Larraín (Tony Manero, No, Il club e la cui attuale candidatura all’Oscar è solo un riconoscimento ancora parziale) trasfigura la ricostruzione storica (incredibili le sedute parlamentari e abbacinanti le Ande innevate) per evidenziare la bruciante attualità dei temi in campo, e il duello tra l’intellettuale organico (un grande Luis Gnecco, ieratico, sovrappeso e fascinoso) e il poliziotto (Gael Garcia Bernal, persecutore sino all’astrazione simbolica, tra l’altro i due avevano già recitato con il cineasta in No-i giorni dell’arcobaleno), si rivela senza cadute di stile qual è: letterario, metafisico, quasi borgesiano.