PAN – IL VIAGGIO SULL’ISOLA CHE NON C’È

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Pan, Usa, 2015, Regia Joe Wright, Interpreti Hugh Jackman, Amanda Seyfried, Rooney Mara, Distribuzione Warner Bros. Italia Durata 1h e 11’ 

In sala dal 

12 novembre

Mentre Londra subisce gli attacchi dell’aviazione tedesca (siamo negli anni della seconda guerra mondiale), nell’orfanotrofio di Lambeth succedono strane cose. Ovvero bambini che scompaiono misteriosamente. Sarà il dodicenne Peter a capire cosa succede: rapito dai pirati assieme ad altri, viene tradotto all’incredibile Neverland, isola sospesa tra i cieli, in cui imperversa il feroce Barbanera che schiavizza la popolazione costringendola a un duro e assurdo lavoro in miniera. Meno male che ci sono i Nativi (e da qualche parte, Le Fate), dove si rifugerà il ragazzino, evaso con i suoi nuovi amici Uncino e Spugna.

Non prestate orecchio ai tiepidi incassi d’oltreoceano, Pan è una storia per ragazzi di tutte le età, ricca di spunti affascinanti, più che meritevole della visione. Joe Wright ha appoggiato la sua fantasia visionaria su una solida base di studi e pratiche teatrali (vedi anche, più che il successo Espiazione, il curioso Anna Karenina) e Pan lo mostra appieno. A un uso pirotecnico della ripresa e dei punti di vista (tante vertiginose riprese verticali dall’alto o dal basso, vedi quella eccitante del rapimento dei ragazzini) e un 3D utilizzato al meglio delle sue possibilità illusionistiche, il cineasta vi aggiunge il gusto della costruzione: scenografie, costumi e make-up semplicemente straordinari nella loro stravaganza, gag creative (l’apparizione del cattivaccio è accompagnata da un coro collettivo su Smell Like Teen Spirit dei Nirvana e più avanti da Blitzkrieg Bop dei Ramones!!), graffi anticattolici (raramente si è vista una suora più carogna), più una recitazione il più possibile calibrata, non appesantita o fasulla. In questo senso Hugh Jackman (non facilmente riconoscibile) è di spedita sapidità e crudeltà, il ragazzo Levi Miller bamboleggia al minimo, Garrett Hedlund è un uncino più ispirato da Han Solo che dal cattivone descritto da Barrie (le cui caratteristiche toccano a un Barbanera che un po’ rammenta l’Hook spielberghiano di Dustin Hoffman). Il tentativo è quello di creare un fantasmagorico «sogno da cui non ci risveglia mai », l’unico limite è semmai l’eccesso di segni, informazioni e virtuosismi che quando n on vengono colti, costipano la pietanza. Che sia la sua troppa intelligenza e voglia di mostrare ad aver urtato le aspettative del pubblico americano (solo 15 milioni di dollari il primo week end di proiezione in oltre 3500 schermi)?

Massimo Lastrucci