“Passeri”

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Prestir Islanda/Danimarca/Croazia, 2015 Regia Rúnar Rúnarsson Interpreti Atli Óskar Fjalarsson, Ingvar Eggert Sigurdsson Distribuzione Lab 80 film Durata 1h e 39’

Al cinema dal 2 marzo 2017

IL FATTO – La madre parte col nuovo compagno in missione in Uganda (e poi altre parti dell’Africa). Al 16enne Ari, corista dalla voce cristallina, tocca di trasferirsi dalla capitale islandese Reykjavik al paesino sulla costa dell’est, dove è cresciuto e dove vivono il padre e la nonna. Arrabbiato per “l’abbandono” e il trasloco e con i rapporti subito aspri col padre (“hai perso mamma, casa, barca. Sei un fallito del cazzo!”), faticherà a integrarsi tra gli amici di un tempo, tra spicca cui Lara, dolce ma sentimentalmente impegnata con un classico bulletto di paese.

L’OPINIONE – Scavalcate la semplicità della trama in sintesi. Passeri è un film che sa scavare benissimo nelle pieghe di quella fase contorta che chiamano adolescenza. Ari è una bomba ormonale, che vive con rabbia tante cose ma che sa anche spalancare lo sguardo verso la bellezza dell’estate subartica, dove il sole non tramonta mai e dona alla terra tonalità particolari quasi allucinate (splendida la fotografia che opta per tonalità lievi, fredde e leggermente ipnotiche, tra indaco, malva e il verdino ghiacciato della fabbrica del pesce in cui Ari è spinto dal genitore a lavorare). Tra gli ubriaconi che circondano il padre (come dice ad Ari la nonna di lui: “lascia perdere le sue moine da macho. E’ come un handicap”) e la vitalità immatura e trasandata dei coetanei, Ari annaspa come un pesce fuor d’acqua, indeciso tra una stizzita solitudine (magari cantando tra i riverberi di una grotta -o megacisterna? – un inno celestiale) e un’integrazione “al ribasso”, stile droga, alcool e voglie sessuali malgestite.

Il 40enne Runar Runarsson, al secondo lungometraggio dopo l’applaudito Volcano (2011, vincitore di premi a Montréal e Chicago), si districa in un territorio psicologico più impervio di quanto non si pensi – se si vuole come qui evitare goliardate, scontate lodi al bel tempo che fu di maniera (che spesso era assai poco bello) o melodrammatiche drammatizzazioni – con eleganza, senso della misura e un gusto sicuro per il sublime. Non giudica e non nasconde, lasciando alla fine il suo personaggio Ari giusto arricchito di maturità quel poco in più che basta per cominciare ad accettare il futuro alle porte. Spulciando infine nel cast, non si può non notare l’incisivo Rade Serbedzija (classe 1946, splendido avventuriero del cinema internazionale, tra il Kubrick di Eyes Wide Shut e tanti ruoli da criminale slavo) che anche qui lascia il segno come operaio e maturo “tutor” di Ari. Davvero, il primo premio al festival di San Sebastian 2015 se lo merita tutto.

Massimo Lastrucci

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