Perfetti sconosciuti, la recensione

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Quella che avrebbe dovuto essere una simpatica cena tra sette amici sotto il cielo stellato di Roma si trasforma in un cattivo gioco al massacro. La colpa? Eva, psicanalista e padrona di casa, lancia una proposta/provocazione che vorrebbe essere arguta: “dite che non abbiamo segreti da nascondere? Ebbene fuori i telefonini e per tutta la serata messaggi e telefonate saranno sentite da tutti!”. Gli sventurati, sfidati, accettano. Dall’imbarazzante al meschino, al drammatico: non se ne salverà uno.

Certo la mente corre subito a quel francese, Cena tra amici(2012), tradotto alla trasteverina con ottimi risultati da Francesca Archibugi con Il nome del figlio (2014). Ma non è solo una variazione sul tema. Oltre al pretesto giocoso del chi-veramente- può-dire-di-conoscere-chi?, ecco una commedia con forti iniezioni di acidità, sostenuta dal bell’amalgama dei protagonisti (davvero: gli attori quarantenni di oggi sono tra il meglio che il nostro cinema abbia espresso da decenni, professionali e versatili rendono credibile ogni spunto). Marco Giallini è il sardonico chirurgo plastico frustrato padrone di casa, Kasia Smutniak la nevrotica consorte in lite con la figlia adolescente Benedetta Porcaroli; Edoardo Leo fa al momento il tassista, superficiale, assatanato e attualmente fidanzatissimo con Alba Rohrwacher veterinaria romantica e con le antenne sempre tese; Valerio Mastandrea – semplicemente formidabile nel suo lavorare nei tempi comici con battute dissacranti e poi passare a toni più torvi – è da forse troppi anni impigrito nel matrimonio con Anna Foglietta, a sua volta dedita tanto ai figli quanto a qualche bicchierino di troppo; infine Giuseppe Battiston, professore di ginnastica appena licenziato che dovrebbe in teoria presentare la sua nuova fidanzata ma si presenta da solo. Paolo Genovese (La banda dei Babbi Natale, Immaturi, Una famiglia perfetta) sostiene di aver tratto l’idea da una frase di Gabriel Garcia Marquez (“Ognuno di noi ha una vita pubblica, una privata e una segreta”), dosa con bel polso situazioni e rivelazioni e se (opinione personalissima) non avesse tirato fuori nel finale dal cilindro una soluzione che suona un po’ troppo da tradizione narrativa-teatrale, avrebbe certamente firmato la commedia amara della stagione. Comunque va benone anche così.