“RESIDENT EVIL 6 – THE FINAL CHAPTER”: LA RECENSIONE

0

Germania/Australia/Canada/Francia, 2017 Regia Paul W.S. Anderson Interpreti Milla Jovovich, Ali Larter, Iain Glen, William Levy, Ruby Rose, Shawn Roberts, Eoin Macken, Fraser James Distribuzione Warner Bros. Pictures Durata 1h e 6’

Al cinema dal 16 febbraio 2017

Il boss dell’Umbrella, il dr. Isaacs, vuole eliminare quel che resta della razza umana (poche migliaia di disperati) in una sorta di apocalisse biblica. “La regina rossa”, così è chiamato il computer senziente che governa la corporation, per fortuna ha altri piani e confida ad Alice che c’è una cura contro il virus che zombizza l’umanità: “Raggiungi Raccoon City, sotto l’Alveare c’è nascosto un antivirus che si propaga velocemente a contatto con l’aria. Hai appena 48 ore di tempo”. Così la navigata eroina ancora in cerca del suo passato, aiutata da un manipolo di coraggiosi (ma occhio alla spia!), si lancia in una missione disperata, tra masse di famelici non-morti, mostri e trappole tecnologiche.

“E ora che facciamo?” “Li uccidiamo tutti fino all’ultimo”. Ecco in queste battute la filosofia e la sintesi di quello che dovrebbe essere l’ultimo atto di una saga partita bene, proseguita con dignità spettacolare via via declinante e ora ammosciatasi in uno schematismo senza originalità, a meno che non si voglia considerare tale l’abuso del 3D (oltretutto qui particolarmente offuscato), ultima risorsa-drittata dei produttori poveri di spirito o il pescare set in tutte le parti del mondo cercando varietà visiva (notevole comunque il lavoro del Production Designer, lo scenografo Edward Thomas).

La regia di Paul W. S. Anderson (un regista di genere partito bene ma che ora pare un po’ “annoiato” ed in impasse creativa, vedi anche il precedente Pompei) è sbrigativa e monocordemente plumbea, non si pone problemi di coerenza narrativa (la storia, per dover/voler essere veloce fa buchi da ogni parte), centrifuga tutto in un montaggio frenetico che oltretutto penalizza le coreografie degli scontri di cui è infarcito. I debiti contratti con altri titoli non si contano (compreso quell’originale – lui sì – Cube di Natali) e c’è il sospetto che gli autori non vedessero l’ora di concludere la serie, comunque e in qualche modo.

Milla Jovovich è ginnica e stoica nell’accettare tutto quel che il copione gli impone, comprese le contraddizioni, Iain Glen fa il fetente di routine (il suo Dr. Isaacs era morto, evidentemente solo in apparenza, in Extinction nel 2007, qui ritorna esaltato religioso o cinico manovratore, a seconda), aspettando forse il momento di tornare sul set de Il trono di spade, gli altri sono macchiette (molti ritornano da altri capitoli) che non hanno meritato neppure un tentativo di caratterizzazione più adeguato. Dispiace tanto, coi primi episodi ci eravamo divertiti di gusto!

Massimo Lastrucci

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here