“Safari”, uccidere per turismo: la recensione e una clip in esclusiva

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Id. Austria, 2016 Regia Ulrich Seidl Distribuzione Lab 80 Durata 1h e 31’

Al cinema dal 1 settembre 2017

IL FATTO – Dall’Austria e dalla Germania, coppie o famiglie di riccastri si recano in Namibia e in Sud Africa a prendersi agognati trofei. Cioè a uccidere a fucilate grossi e innocui erbivori (perlopiù). Con un certo understatement, il regista registra e intervista turisti e guide (“mi sento sempre dire che ‘ammazzi gli animali’ ” “Sì in effetti è ciò che facciamo”), seguendoli nelle loro avventure (diciamo così) nella savana. Non condannando apertamente ma facendo pilatescamente parlare le immagini.

L’OPINIONE – Non mancano le scene truculente, pur nella consueta sorvegliata simmetria fotografica di Ulrich Seidl che tutto distanzia e spesso ironizza. Il regista viennese che spesso ci ha disturbato (Canicola, la trilogia di Paradise), qualche volta emozionato (Import Export) fa qui ancora una volta della naturalezza della crudeltà la sua missione etica e della luminosità delle immagini (nonché della geometria dell’inquadratura) il suo stile. Qui non sappiamo se ci indignino di più le espressioni compunte e soddisfatte di questi uccisori di esseri viventi (che fanno di tutto per dissimulare la violenza dell’atto) davanti all’obbiettivo della macchina fotografica o della cinepresa, con la preda sanguinante messa in bella posa o ci faccia sogghignare d’amarezza l’ottuso elencare di una coppia anziana e sovrappeso: “…impala 245 euro, alcocefalo rosso 700 euro, Gnu 615 euro, antilope alcino 1700 euro…” e via di tariffario. Non è un documentario che brilli per vivacità di racconto o per fantasia di sceneggiatura: ripetitivo, ovattato quasi nella torrida calura in cui è ambientato, sicuramente non artiglia e ferisce l’animo come forse avrebbe voluto (ci si abitua a tutto e l’orrore reiterato diventa noia). Ma non sappiamo in tutta onestà se il bizzarro reportage raggiunga lo scopo prefissato oppure, più probabilmente, si limiti a essere (come paventiamo) un mero termometro della sensibilità degli spettatori.

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