SICARIO

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Id., Usa, 2015 Regia Denis Villeneuve Interpreti Emily Blunt, Josh Brolin, Jon Bernthal, Benicio Del Toro, Jeffrey Donovan, Raoul Trujillo, Maximiliano Hernández, Daniel Kaluuya Distribuzione 01 Durata 2h e 01′

In sala dal

24 settembre

Al confine tra Messico e USA, il crimine impazza. L’agente Kate Macer dell’FBI è incaricata di coadiuvare uno special team che ha come obiettivo eliminare un cartello di spacciatori e assassini sino alla radice, in Messico. All’inizio è entusiasta, poi turbata dal comportamento cinico e violento dei suoi colleghi Matt Graver e Alejandro (senza cognome) comincia a porsi domande: Chi sono questi due? Cosa nascondono? Perché lei è stata coinvolta?

Sicario, triste y solitario. E quello interpretato da Benicio Del Toro non fa eccezione. Anzi, visto quel che gli hanno fatto (che non riveliamo) si permette di non avere remore. Così in questo robusto e ambiguo (la sua parte) film di Denis Villeneuve (che con La donna che canta e Prisoners si è candidato come uno dei cineasti da seguire nei prossimi vent’anni, ma recuperate anche Enemy), uccide, tortura, ammazza donne e bambini (ma qui la cinepresa mostra solo il prima e il dopo) perché «è il tempo dei lupi ». E lui è il maledetto cui hanno ucciso l’anima (ma non il sarcasmo) e che attraversa disinvoltamente il confine tra criminalità e legge, tra giusto e sbagliato (e il suo disinvolto referente governativo Josh Brolin non gli è da meno). Invano la legalitaria Emily Blunt prova a contrastarlo: è dubbiosa, scostante, problematizza e questiona e poi si ficca in guai che tocca a lui risolvere con “efficienza”: empaticamente parlando – almeno per i fan dell’action – non c’è partita! Con gli altri due titoli citati, il cineasta canadese continua a riflettere sulla vendetta e sulla ineluttabilità della violenza dentro la società. Qui è un po’ più torvo (e furbetto, vedi non solo quel che dicevamo sopra, ma anche l’“umanizzazione” di qualche criminale/vittima, giusto a dare un’altra mescolata al mazzo delle “questioni morali”) del solito. Il suo polso di regista è però fermo e noi subiamo, ammirati e preoccupati, le sue provocazioni. D’altra parte – come si è soliti dire – un regista alle prese con i problemi della società deve puntare il dito su piaghe e contraddizioni, non dare risposte educate o perbene.

Massimo Lastrucci