“SILENCE”: LA RECENSIONE DEL NUOVO FILM DI MARTIN SCORSESE

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Id. Usa, 2016 Regia Martin Scorsese Con Andrew Garfield, Adam Driver, Liam Neeson, Ciarán Hinds Distribuzione 01

Al cinema dal 12 gennaio 2017

IL FATTO – Giappone, 1633. Una violentissima persecuzione sta stroncando il cattolicesimo, i fedeli vengono uccisi o costretti all’abiura. In Portogallo due missionari gesuiti, Padre Rodriguez e padre Garupe, vengono informati che il loro maestro spirituale Ferreira è scomparso e ottengono il permesso di andare a cercarlo. Sarà un’odissea dolorosa, tra la repressione dei signori feudali, la prigionia, i tradimenti, il confronto con un mondo profondamente estraneo alla loro cultura. Con il rischio non solo di perdere la vita, ma anche la fede più incrollabile.

L’OPINIONE – Da quello che è considerato un capolavoro della letteratura giapponese, scritto nel 1966 da Shusako Endo (e già diventato film – dicono bellissimo – nel 1971, presentato a Cannes con il titolo Chinmoku, per la regia del grande Masahiro Shinoda), Scorsese – ex seminarista, non scordiamolo – torna a quello che è uno dei temi ritornanti e più profondi del suo cinema, il rapporto tra i misteri della fede e il comportamento dell’uomo (questo sin dai tempi di Mean Street).

Il silenzio cui si riferisce il titolo è certamente quello di un Dio “assente” (“perché tu non ci sei?” urla dentro il suo animo padre Rodriguez), ma può benissimo riferirsi alla condizione dei cristiani perseguitati (i kakase kirishitan, ovvero i cristiani nascosti) o a quella di padre Ferreira, spinto all’apostasia (“tutti i nostri progressi sono finiti in nuove persecuzioni”) e poi fedele osservante delle tradizioni nipponiche. Lo scontro tra le ragioni del fervore missionario e quelle (peraltro non prive di una loro logica e razionalità) dei signori del Giappone ha come teatro il corpo e la mente dei due religiosi, via via più disperati, oppressi ed esacerbati da una situazione complicata, contraddittoria e tragica (“Il sangue rosso dei preti è sgorgato a fiumi”). Perché il dilemma cruciale è negare la divinità del Cristo e salvare tanti innocenti o seguitare a professare la propria fede condannando al martirio non solo se stessi, ma tanti cuori semplici e magari confusi.

Sono due ore e quaranta di cinema concentrato su questo tema, cui la magistrale mano di Scorsese questa volta, anche quando ritaglia scorci meravigliosi o palpitanti scene di spettacolare violenza, aggiunge plumbea e quasi “claustrofobica” (non se ne esce mai dai travagli dell’animo dei due gesuiti) cupezza. Magnifico il trio dei protagonisti, con Garfield che ha molto irrobustito (anche nel war movie di Gibson lo si nota) le sue spalle di ex giovanottino prodigio, Adam Driver che sembra aver addirittura ieraticamente scarnificato il suo corpo lungagnone quasi fosse un vero mistico e un Liam Neeson dolente come un gigante sconfitto e domato. Siamo di fronte a uno spettacolo maiuscolo, forse un po’ “monocorde” a causa della sua lunghezza (decisamente eccessiva), che temiamo non troverà folle plaudenti ad amarlo. Certo: difficile da amare, ma facile da ammirare e stimare.

Massimo Lastrucci

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