SING STREET

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Dublino, 1985. Tra ristrettezze economiche e genitori ad un passo dalla separazione, Conor (Ferdia Walsh-Peelo), è costretto a frequentare una nuova scuola più economica dove sopravvivere a bulli e sacerdoti subdoli. Proprio davanti alla Synge Street s’imbatte negli “occhi pericolosi” di Raphina (Lucy Boynton), giovane ragazza ospite di un collegio femminile, e per conquistarli decide di mentire, raccontandole di essere il leader di una band. Peccato però che Conor non abbia ancora mai scritto una canzone…

È da una bugia che parte il nuovo film di John Carney, già regista di Once e Tutto può cambiare, e non potrebbe esserci inizio migliore. Quella verità mancata permette, infatti, al ragazzino di Dublino che non conosceva gli A-ha e i Cure di scoprire il suo dono per la musica e di imparare a capire se stesso attraverso la new wave o il sound “felicetriste” del gruppo capitanato da Robert Smith, riuscendo a canalizzare le sue contrastanti emozioni attraverso le canzoni che scrive.

Ironico, commovente, coinvolgente, Sing Street è la prova tangibile di come una buona sceneggiatura e gli attori giusti bastino per realizzare un gran film. Carney lo aveva già dimostrato nel “documentaristico” Once, girato in collaborazione con Glenn Hansard, e lo ribadisce ora con una pellicola vera e propria dichiarazione d’amore per la musica e la sua forza, dove è impossibile trattenere le risate o non canticchiare le canzoni dei Sing Street. La crisi economica e sociale dell’Irlanda degli anni ’80, che vedeva nelle coste del Galles distanti solo trenta miglia, la possibilità di un futuro negato in patria, attraversa il film ma non lo appesantisce, lasciando che sia il ritmo personale ed interiore di Conor, Raphina e degli altri personaggi ad affiorare, trovando la sua chiave narrativa vincente.