Venezia 79, Don’t Worry, Darling, la recensione

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Don't Worry Darling

Era forse il film più atteso del festival Don’t Worry, Darling, grazie a una strategia promozionale basata su poche uscite di enorme prestigio in esclusiva (Variety per Olivia Wilde, Rolling Stone worldwide per Harry Styles) e una serie di polemiche più o meno volute. E alla fine il giorno è arrivato, per l’anteprima mondiale del film diretto dalla donna una volta nota come 13, agli ordini del dottor Gregory House.

Dopo il bell’esordio con la teen comedy Booksmart (in Italia La rivincita delle sfigate) Wilde ha puntato a un progetto ben diverso e molto più ambizioso.

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Alice e Jack Chambers sono una coppia di giovani e innamoratissimi sposi, Vivono all’interno del perfetto e misterioso Project Victory, una comunità ideale fondata e gestita dall’ambiguo e affascinante Frank, che è anche il datore di lavoro di tutti i mariti dell’elegante cittadina costruita in mezzo al deserto, per evitare che il progetto segreto a cui tutti lavorano subisca interferenze. Sono gli anni Cinquanta, le mogli sono tutte a casa a rendere la casa impeccabile, cucinare manicaretti, tirare su i figli e aspettare i consorti per una buona dose di sesso serale. L’unico neo è che ultimamente Alice ha degli strani incubi, che prendono sempre più forma dopo essere andata in una misteriosa struttura nel deserto. Da quel momento Alice incomincia a dubitare della bontà del Project Victory e dello stesso Frank.

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Un thriller distopico che si ispira, e non poco a un classico del genere degli anni Settanta, The Stepford Wives, noto in Italia come La fabbrica delle mogli, tratto da un romanzo di Ira Levin e sceneggiato dal due volte premio Oscar William Goldman. Anche in quel caso dietro l’American Dream si nascondeva ben altro.

Quello che c’è a Victory non si deve svelare, ma Don’t Worry, Darling è un film meno sorprendente di quanto si attendesse e forse si sperasse, proprio perché qualcosa di già visto. La sceneggiatura di Katie Silberman e Carey e Shane Van Dyke non riesce a lungo a nascondere colpi di scena che finiscono col perdere d’efficacia proprio per le molte similitudini con il nobile precedente e altri film sulla stessa falsariga.

Ma l’evoluzione della storia, come sempre più spesso avviene ultimamente, è alla fine solo un pretesto per il messaggio principale che Olivia Wilde vuole lanciare. Ovvero che le donne non hanno bisogno degli uomini, mentre gli uomini sono totalmente dipendenti dalle donne, oltre a non essere molte cose che, a quello che veniva una volta chiamato sesso debole, riescono benissimo.

Don’t Worry Darling è un film manifesto della contemporaneità

E del neo femminismo, che ha per protagonista una giovane attrice che proprio durante la fase promozionale ha difeso la sua liberta di potere mostrare i suoi capezzoli, e il suo corpo in generale, senza dovere per questo essere giudicata dai social, soprattutto dagli uomini.

Florence Pugh è il punto di forza del film, in scena praticamente per tutta la durata del film. A lei si appoggiano Harry Styles, Olivia Wilde, Chris Pine (molto efficace come villain) e Gemma Chan.

Purtroppo nel momento dello svelamento e in tutto quello che accade successivamente regna una non indifferente confusione narrativa, con alcune discutibili scelte e forzature di sceneggiatura. Ma tant’è, l’importante era lanciare un segnale forte e sottolineare che l’egemonia del patriarcato è finita.

Il cinema è uno strumento al servizio della rivoluzione.

RASSEGNA PANORAMICA
VOTO:
venezia-79-dont-worry-darling-la-recensioneEra forse il film più atteso del festival Don’t Worry, Darling, grazie a una strategia promozionale basata su poche uscite di enorme prestigio in esclusiva (Variety per Olivia Wilde, Rolling Stone worldwide per Harry Styles) e una serie di polemiche più o meno volute....