Io non ho mai, il corto di Michele Saia verso la libertà

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io non ho mai

Le vie dell’amore sono infinite. Come quelle che i protagonisti del cortometraggio Io non Ho Mai cercano di prendere per fuggire dalla loro insoddisfazione. Da una parte una ragazza vive nel costante bisogno di evadere dalla sua vita, ricorrendo all’alcool e facendo graffiti; dall’altra parte un ragazzo vive un rapporto famigliare formalmente corretto, ma soffocato dalla troppa apprensione della madre verso il fratello affetto da un ritardo mentale.

In una giornata apparentemente normale, la ragazza decide di rifugiarsi dentro un vagone merci abbandonato e il ragazzino, ignorando le raccomandazioni della madre, lascia il fratello da solo a casa, incoraggiandolo ad imparare ad andare in bicicletta. Il suo grado di frustrazione dopo il rimprovero della madre esplode nella sua voglia di evadere. Si allontana da casa e, dopo una serie di piccole “marachelle”, si ritrova vittima di un gruppetto di bulli. E proprio nel momento in cui lui cerca di fuggire, la sua storia si intreccia con quella della ragazza, intenta a distrarsi con un po’ di musica. Grazie al suo aiuto inizia un nuovo scenario del corto.

Un cambio repentino che quasi contrasta con quello visto poco prima: se prima si percepisce quella voglia di evadere, rendendo tutto troppo tranquillo, tanto da tenere lo spettatore con gli occhi puntati sullo schermo alla ricerca di una novità, come se fosse una necessità che si trasmette dallo schermo al cuore di chi guarda. La stessa voglia dei personaggi che il regista riesce a trasmettere benissimo, senza lasciare niente al caso. Il momento successivo è caratterizzato da una fase di stallo dove tutti – anche chi guarda il corto per la prima volta – ci si ritrovano, scontrandosi con un tema fin troppo convenzionale, ma che viene “nobilitato” dalla sceneggiatura e dal giusto tempo in cui cammina la storia: i sentimenti del ragazzo verso la persona che lo ha salvato.

Non è tanto difficile entrare in sintonia con i sentimenti del giovane protagonista, ritornando alle prime cotte adolescenziali dove tutto – affrontato con la giusta ingenuità e semplicità – diventa magico. Lo stesso vale per la voglia di raccontarsi e di dire finalmente la verità, toccando punti dolenti della propria vita in quel momento, attraverso un semplice gioco. Hai mai? Se inizialmente le domande non si aspettano una domanda precisa, poi diventano l’esigenza di chiedere conferme e raccontarsi.

In un certo senso, i due personaggi entrano in sintonia dopo aver scoperto che, seppur in modi diversi, entrambi si sentono fuori dal mondo. Eppure, in quel posto che tanto sembra deluderli, sono costretti a tornarci: la ragazza torna alla sua musica e il ragazzino a casa dove la madre lo aspetta per un nuovo rimprovero, dopo aver scoperto che il fratello è rimasto tutto il tempo da solo. Questa volta, però, viene affrontata in maniera diversa: decide di scappare e stendersi su un prato, mentre il fratello pedala spensierato la bicicletta che finalmente ha imparato a usare.

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(Testo di Daniela Bagnardi)