Ma l’amore c’entra?, tre uomini raccontano come si esce dalla violenza

Nel documentario di Betta Lodoli il racconto di tre uomini che si incrociano al centro Liberiamoci Dalla Violenza di Modena

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Paolo, Luca e Giorgio sono tre uomini normali, diversi per età, origine e carattere, ma legati da un problema comune: hanno compiuto atti di violenza contro le loro compagne pur non essendo mostri, né malati, né assassini. A raccontarli, attraverso questi tre nomi di fantasie ma con loro testimonianze reali, è il documentario Ma l’amore c’entra? di Betta Lodoli, che sarà proiettato questa sera alle ore 21 al MAXXI di Roma. Al termine della proiezione, la regista incontrerà il pubblico insieme alla psicoanalista Manuela Fraire e ai critici cinematografici Angela Prudenzi e Mario Sesti. Il 16 febbraio verrà presentato anche alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, alle ore 16.

Le vite di Paolo, Luca e Giorgio si sono incrociate in uno stesso luogo, quello in cui hanno cercato aiuto per cambiare: il centro LDV (Liberiamoci dalla Violenza) dell’Azienda USL di Modena, il primo centro pubblico italiano di aiuto per uomini che compiono violenze. Ed è proprio lì che la regista li ha incontrati: «Sono tre uomini che hanno compiuto violenze nelle relazioni affettive e in famiglia e che hanno deciso di intraprendere un percorso di cambiamento», spiega Lodoli. «Li ho intervistati senza gli la presenza degli psicologi e sulla base delle loro interviste, con un lavoro durato quasi due anni, ho costruito la parte visiva del film. I tre uomini non potevano essere ripresi per motivi di privacy, e quindi sono stati interpretati da tre attori, che comunque scelgo di non mostrare».

L’amore, quindi, cosa c’entra coi soprusi che Paolo, Luca e Giorgio hanno commesso? «Nulla: bisogna smettere di pensare che la violenza sia un’espressione dell’amore, magari passionale», dice la regista. «Forse dobbiamo rivedere che cosa intendiamo per amore. Le cause di questa violenza sono diverse, spesso l’essere cresciuti in famiglie a loro volta violente, ma soprattutto i residui di una cultura patriarcale che vede la donna totalmente sottomessa all’uomo. Le donne oggi cominciano ad essere forti: questo mette in crisi la figura dell’uomo al quale ancora viene affidata una responsabilità infinita, il ruolo del capofamiglia, in più senza l’abitudine a parlare dei propri sentimenti perché si viene etichettati come uomini deboli. Un altro problema è l’idealizzazione dell’immagine della famiglia: un uomo nel documentario mi ha detto che aveva in mente famiglia del Mulino Bianco, quando ha visto che non era così qualcosa è crollato. C’è bisogno di educare le nuove generazioni a un nuovo modo di pensare le relazioni affettive»