Presto lo vedremo al cinema nei panni di Lando Calrissian in Solo: A Star Wars Story, ma dal 17 maggio Donald Glover sarà al centro della scena anche in Tv con la seconda stagione di Atlanta. Lo show, ideato, scritto, prodotto e interpretato dal poliedrico attore, è un piccolo gioiello televisivo già vincitore di due Golden Globe e di due Primetime Emmy Award, incluso quello per la miglior regia di una serie comedy assegnato a Donald (primo afroamericano a ottenere il premio).
Ambientata nell’omonima città, la serie segue le vicende di un gruppo di amici che vuole cambiare vita attraverso la musica rap. Le premesse iniziali però non sono delle migliori: lo spiantato Earn Marks (Glover) ha una figlia da mantenere e nessuna prospettiva professionale, suo cugino Alfred (Brian Tyree Henry) invece è un rapper noto come Paper Boi, infine c’è lo stralunato Darius (Lakeith Stanfield) sempre in bilico tra genio e follia. Nel finale della prima stagione il trio si trova a un punto di svolta: la hit di Paper Boi inizia a trovare spazio nelle radio, ma il vero successo è ancora lontano.
I nuovi episodi ci riportano nella vita dei protagonisti durante la “Robbin’ Season”, ovvero, quel periodo dell’anno, poco prima di Natale, in cui il numero delle rapine cresce vertiginosamente ad Atlanta. La scelta di Glover è precisa: l’incertezza vissuta dagli abitanti in città è la stessa dei protagonisti che non sanno cosa accadrà nel loro futuro, ma è anche quella provata dal pubblico di fronte alle trasformazioni tanto rapide quante schizofreniche del mondo contemporaneo. Donald evita di fare (facili) ironie sull’omonimo Presidente Usa, ma non risparmia critiche: l’Atlanta che lui rappresenta è una delle tante periferie a stelle e strisce dove la brutalità della polizia e la mancanza di opportunità rendono difficile la vita degli afroamericani. Senza pietismi o inutili banalità, Glover costruisce una sceneggiatura di altissimo livello: l’evoluzione degli eventi è realistica quanto inaspettata, con svolte surreali che ribaltano ogni prospettiva. Così, una black comedy semiautobiografica – Glover è anche un rapper famoso in America come Childish Gambino – diventa un’amara favola collettiva, specchio dei nostri tempi.