Netflix, presente in oltre 190 paesi e forte di oltre 74 milioni di clienti, offre una varietà di serie tv decisamente interessante, che va dal cinico sguardo sulla politica americana di House of Cards al brillante citazionismo del cinema fantastico anni ’80 di Stranger Things, un meritato successo, e perfino il regale The Crown “modello BBC” non è niente male. Senza dimenticare i suoi supereroi Marvel, metropolitani e molto cupi, ovvero opposti a quelli sempre più fracassoni dei film. Inevitabile, perciò, che Netflix abbia deciso di avventurarsi anche su un terreno ipoteticamente proficuo, ma anche piuttosto scivoloso, come quello della rigenerazione e rilettura di una serie cult del passato. La scelta è caduta su Gilmore Girls, che è stato specchio e modello per molte adolescenti, anche italiane, dal 2000 al 2007.
QUELLO CHE C’È DA SAPERE
Prodotta dalla Warner per la rete The CW, la serie è stata creata da Amy Sherman-Palladino, che l’ha sviluppata insieme al marito Daniel. Protagoniste sono Lorelai Gilmore (Lauren Graham), trentaduenne all’inizio della storia, e la figlia quindicenne Rory (Alexis Blendel), che la madre ha cresciuto da sola e il centro della storia è proprio il loro rapporto, complice e amicale. Da quando ha debuttato, in Usa nell’ottobre 2000 e da noi nell’estate 2002, la serie ha ottenuto un successo costante (su Italia 1 ha raggiunto una media di oltre 3 milioni di spettatori), finché una rottura fra la creatrice e la produzione, non ne ha abbassato il livello qualitativo, con conseguente crollo degli ascolti e chiusura con la settima stagione. La serie, come spesso accade in tv, ha rappresentato sia per gli autori che per le protagoniste al contempo un trionfo e una prigione. Le successive serie scritte da Sherman-Palladino e prodotte dal marito (The Return of Jezabel James e A passo di danza) sono stati clamorosi flop. Graham, anche se ha scritto un best-seller (Un giorno, forse) che dovrebbe diventare una serie tv, non si è fatta notare né sul grande schermo né in altre serie tv. Un po’ meglio è andata a Bledel, che è apparsa in Sin City, è stata protagonista di 4 amiche e un paio di jeans e il suo sequel, e ha avuto un buon ruolo di contorno nella quinta stagione di Mad Men. L’unica del cast che ha conosciuto un vero successo personale è stata Melissa McCarthy, Sookie in Gilmore Girls, che ha ricevuto una nomination agli Oscar per Le amiche della sposa e una ai Golden Globe per Spy.
LE RAGIONI DI UN SUCCESSO
Il segreto della serie è già espresso nel titolo, sia in quello originale che in quello italiano. Le Gilmore sono infatti due ragazze, e la mamma più che mamma è un’amica. Quello che crea immedesimazioni, specie in ragazze adolescenti, è il rapporto atipico e ideale che lega madre e figlia: una condivisione quotidiana e totale, esperienze sentimentali simili (per la figlia si tratta di un inizio, per la madre di un ricominciare), che rendono al contempo più labile e più vitale il rapporto classico fra i due ruoli, spostando il conflitto generazionale da quello madre/figlia all’altro madre/genitori, dove si replica il confronto nelle fatidiche e terribili cene del venerdì sera. Gilmore Girls è una classica storia di crescita, ma è una crescita comune e parallela, in quanto il percorso di Rory, da adolescente insicura a donna realizzata, diventa speculare a quello di Lorelai, alle prese con le sue paure, impotenze e fragilità. La vera forza della serie sono i dialoghi, che contano più di tutto il resto. Quando Amy Sherman-Palladino è al suo meglio riesce a scrivere dialoghi frizzanti, intelligenti, ironici, pungenti, mai banali. E usa come fonte d’ispirazione gli anni ’70. Dal cinema (uno dei migliori episodi è quasi una copia aggiornata di Non si uccidono così anche i cavalli?) alla musica (sigla di Carol King, canzoni di Lou Reed o Cat Stevens).
NOSTALGIA CANAGLIA
L’usato sicuro non è mai così sicuro, e un successo di ieri non è detto sia il successo di oggi. Il pericolo di “risvegliare” una serie è quello di ritrovarti fra le mani solo un zombie. Gli esempi sono molteplici. La rapida eliminazione dei nuovi Dallas e Charlie’s Angels, il pasticcio sconclusionato di Heros Reborn, il risultato imbarazzante del nuovo e tanto atteso “evento” X-Files. E speriamo bene per Twin Peaks. Il problema, quello di base, è trovare il difficilissimo equilibrio fra le citazioni e i rimandi alla serie di un tempo, per la gioia dei vecchi fan, e le innovazioni e i cambiamenti, perché anche i vecchi fan sono cresciuti e cambiati, così come il mondo che sta loro intorno. Ma il nuovo Gilmore Girls sembra proprio partire col piede giusto.
QUATTRO PAROLE FINALI
Amy Sherman-Palladino (che scrive e dirige il primo episodio, mentre il secondo è scritto e diretto dal marito) lo ha ripetuto in tutte le interviste: ha in mente da tempo le quattro parole finali che chiudono la storia. Non le è stato possibile usarle (quasi) dieci anni fa, e infatti la fine della serie ha in parte deluso i fan, ma ora può farlo. Per cui, sempre che il successo non faccia cambiare idea, questo è un addio. Questo già promette bene. E anche la struttura di A Year in the Life (questo il titolo originale), che non è quella classica del serial: quattro film di un’ora e mezza l’uno, ognuno dei quali ambientato in una diversa stagione, partendo dall’inverno. Nell’incipit della prima puntata, l’equilibrio fra passato e presente è perfetto: Rory e Lorelai sono cambiate e non nascondono i segni del tempo, però camminano insieme fra le strade imbiancate dell’immaginaria cittadina Stars Hollow, ritrovando, con curiosità e ironia, tutti i luoghi classici della serie. Sembra proprio un bel ritorno a casa.