“WESTWORLD”: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE SULLA SERIE TV DEL MOMENTO

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Westworld è stata una delle serie più attese. Il risultato ha convinto, con critiche positive e successo di pubblico, tanto che è già stato deciso che la serie proseguirà per altre quattro stagioni. Ora che la prima ha superato la metà del suo percorso, cioè la sesta puntata, è venuto il momento di fare il punto sulla situazione. Ovvero, senza eccedere in spoiler (questo è soprattutto un invito alla visione a chi ancora non l’ha scoperta), ragionare su tematiche, approccio narrativo e motivi d’interesse, che sono parecchi.

QUEL CHE C’È DA SAPERE

La serie è il remake dell’omonimo film (in Italia, Il mondo dei robot) scritto e diretto da Michael Crichton nel 1973. La storia è originale è ambientata in un parco a tema chiamato Delos, dove i visitatori possono “vivere” nell’Antica Roma, nel Medioevo oppure nel Far West. Il divertimento si trasforma in tragedia, quando i robot del parco impazziscono per mal funzionamento, facendo strage di visitatori. HBO ha affidato il progetto a due pezzi da novanta: J.J. Abrams, produttore esecutivo e Jonathan Nolan, ideatore e sceneggiatore, che per la prima volta collabora con la moglie Lisa Joy. E Nolan e Joy stanno lavorando molto bene sul materiale originario, fra rispetto e tradimento.

HARRIS IL NERO

Almeno in teoria Westworld ha una strada già tracciata: prima o poi i robot, o meglio gli assai più “umani” androidi, finiranno per impazzire, gli umani saranno sterminati e il parco andrà in pezzi. In realtà si sta, almeno per ora, compiendo un esplicito “tradimento” del film, tanto di forma che di contenuti, simbolicamente evidenziato dal personaggio di Ed Harris. E’ senza nome e senza identità, un pistolero sadico e cinico, nero come i suoi abiti. Quasi identici a quelli indossati nel film da Yul Brynner. Solo che lui era un robot impazzito, Harris invece è umano. Non si tratta solo di un omaggio, ma è una vera e propria dichiarazione di intenti: in Westworld la distinzione fra umani e androidi si fa impercettibile, così come la differenza fra ciò che è vero e ciò che è apparente. “Dove ti trovi?” “Sono in un sogno”. “Cosa pensi del tuo mondo?” “Ho scelto di vederne la bellezza”. La prima puntata inizia con queste parole, scambiate fra il creatore capo del parco Robert (Anthony Hopkins) e la dolce androide Dolores (Evan Rachel Wood). Un dialogo che ritornerà, sempre con lo stesso incipit, in altre puntate, come una specie di loop. Anche queste parole sono solo apparenza. Perché non c’è vero sogno e non c’è vera bellezza. E il mondo è fatto di due mondi, speculari e ugualmente spaventosi.

BENVENUTI ALL’INFERNO

C’è un altro film con cui Westworld ha qualche punto di contatto. E’ The Truman Show, di cui sembra quasi essere la versione più oscura e problematica. Truman si libera dell’illusione di una vita-soap opera grazie ai confini limitati del set e alla ripetitività della sceneggiatura, così conquista la libertà del mondo reale, lasciando nello sconforto il creatore dello show (ancora Ed Harris), che lo osserva dalla sua alta postazione ovviamente divina. In Westworld, ed è forse l’idea visiva più geniale della serie, il rapporto mondo immaginario/mondo reale è del tutto capovolto. Lo spazio del parco, infatti, ci appare luminoso, grandioso, in parte inesplorato, apparentemente infinito. Il mondo dei creatori, invece, sta sotto il parco, nelle viscere della terra, è buio e tenebroso come la fucina di vulcano o i gironi dell’inferno dantesco, con tanto di deposito dove sono stipati i resti (in)umani degli androidi. Nessuno fra i tecnici, gli ingegneri e i creatori sembra avere una vita al di fuori del parco. Anzi, l’unico altro mondo dove vanno a trovare la luce è il parco stesso.

UMANO/NON UMANO

I robot di Crichton trasgredivano semplicemente una delle tre leggi di Asimov, quella che proibiva di recare danno agli umani. Ovviamente i tempi sono diversi e vige piuttosto la filosofia di Blade Runner. Ma, anche in questo caso, Nolan e Joy si spingono un po’ più in là. La “ricerca di umanità” degli androidi ha, prima di tutto, una valenza femminile, mentre tutti i più importanti personaggi umani sono maschi. Dolores e Maeve (Thandie Newton), la tenutaria del bordello, seguono due itinerari paralleli, la prima più mistico e ideale, la seconda più duro e realista. Ma le tappe sono identiche: l’affiorare dei ricordi e dei sentimenti, la costruzione di una coscienza, il rifiuto di un ruolo prestabilito. I visitatori, o almeno buona parte di loro, arrivano nel parco “dove tutto è concesso” per liberare invece i loro peggiori istinti: torturano, uccidono, stuprano. Gli androidi cercano un senso e diventano umani, gli umani perdono se stessi e ogni umanità.

LA STRUTTURA LABIRINTO

Il bello di Westworld è che è una serie dentro cui ci si perde. Il pilot non spiega nulla, procede per accumulazione, trasmettendo semplicemente un senso crescente di inquietudine. E, anche proseguendo, non c’è una vera trama lineare: si seguono i personaggi, si perdono, si ritrovano, intanto iniziano a moltiplicarsi le domande sul parco (che forse non è quello che sembra), sulle vere intenzioni di Robert e dell’uomo nero, sulla struttura piramidale che regola i rapporti di chi lavora nel parco (le infinite dipartimenti, gli invisibili azionisti). Nolan e Joy iniziano ad offrire qualcosa di più di qualche vago indizio a partire dal quarto episodio, ma la struttura resta quella di un affascinante puzzle e non stupisce che tutto, almeno per ora, ruoti intorno ad un luogo simbolico e invisibile, un labirinto, e un personaggio assente, Arnold, il co-creatore defunto. Aspettiamo curiosi di vedere l’immagine finale del puzzle.

Il prossimo appuntamento con Westworld è domenica 13 novembre su HBO con l’episodio 1×07 che andrà in onda in Italia su Sky Atlantic lunedì 21 novembre