Giappone, 2016 Regia Hirokazu Kore-Eda Interpreti Hiroshi Abe, Yoko Maki, Yoshizawa Taiyo, Kirin Kiki, Rirî Furankî, Isao Hashizume Distribuzione Tucker Film Durata 1h e 57’
Al cinema dal 25 maggio 2017
IL FATTO – Un tifone, il numero 24 per la precisione, sta per abbattersi sulla città. Intanto Ryota è impegnato come sempre alla stressante e angosciosa ricerca di quattrini. Autore di un solo libro, attualmente detective dall’etica discutibile, è divorato dalla passione del gioco e contemporaneamente dall’amore per la ex moglie Kyoko e il figlioletto, separato da tempo e a cui deve ogni mese i soldi per gli alimenti che non trova. Per sua madre vedova è “una pianta di mandarino che non fa né fiori né frutti” ma che va innaffiata lo stesso. La notte della tempesta li vedrà tutti e quattro riuniti nella casa dell’anziana e sagace signora. Premessa di riconciliazione o teatro di un’ulteriore rottura?
L’OPINIONE – Una delicatezza di tocco può trasformare il più impietoso dei ritratti del tracollo di una esistenza in un arioso e gentile acquarello di vita vissuta. Il giapponese Hirokazu Kore-eda, che i festival internazionali (Cannes in primis) hanno fatto conoscere (Nessuno lo sa, Little Sister), lo possiede, come un cineasta innamorato della nouvelle vague francese ma con la sensibilità dei maestri della sua cinematografia (Ozu, Kurosawa, Imamura). Il suo Ryota è un perdente fatto ma non finito, disprezzabile per le sue azioni (ruba alla madre, ricatta le persone, truffa i clienti, spia la ex) ma con l’amarezza e il sarcasmo amaro di chi ne è consapevole, disposto a tutto in nome del proprio amore per il figlio e la compagna. La sua squallida battaglia quotidiana a base di truffe, menzogne, gesti avvilenti, si colora delle tinte della poesia del dettaglio, della piccola divagazione (i racconti della nonna e i suoi dialoghi con l’altra figlia sono una preziosità “a parte”, così come le sue riflessioni: “ci sono grandi talenti che sbocciano tardi”), di un umorismo sussurrato e mai prevaricante.
Ci sono ovviamente motivi che il regista ha tratto da esperienze personali: “La scintilla da cui ha preso vita il film è scattata nel 2001, quando mia madre, rimasta sola, ha deciso di cambiare casa e di trasferirsi in un complesso residenziale. Un giorno sono andato a trovarla e ho subito pensato che fosse la location perfetta per girarci un film”. Ritratto di famiglia con tempesta è quasi una pacata poesia in prosa, anzi “in celluloide”, sulla precarietà dei rapporti umani e in cui l’insegnamento più profondo è sicuramente quello di “cercare di vivere la vita cercando di diventare quello che voglio essere”, parola del complicato e nonostante tutto tenero Ryota che ha il volto e il gusto per le sfumature di Abe Hiroshi, attore di fama in patria e che noi abbiamo visto sino a oggi solo nelle due puntate di quell’assurdo peplum movie comico con gli occhi a mandorla (da un manga) intitolato Thermae Romae.