La ragazza di Stillwater: intervista esclusiva a Matt Damon

Matt Damon è il protagonista de La ragazza di Stillwater (di Tom McCarthy), dove interpreta un uomo deciso a dimostrare l’innocenza della figlia accusata di omicidio

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Matt Damon stars as "Bill" in director Tom McCarthy's STILLWATER, a Focus Features release. Credit Jessica Forde / Focus Features

Una decina di anni fa La ragazza Stillwater, diretto da Tom McCarthy (premio Oscar per Spotlight) e presentato fuori concorso al Festival di Cannes, avrebbe dovuto essere un film nutrito dai noir mediterranei di scrittori come Andrea Camilleri, Massimo Carlotto e Jean-Claude Izzo, autore quest’ultimo di una trilogia ambientata proprio a Marsiglia, città che il regista considerava la location perfetta per una storia non del tutto convincente. L’incontro con due sceneggiatori francesi, Thomas Bidegain e Noé Debré, le riflessioni sul crollo dell’autorità morale americana durante l’amministrazione Trump, la fascinazione per il caso giudiziario di Amanda Knox, accusata nel 2007 in Italia del delitto di Meredith Kercher, e la collaborazione di Matt Damon gli hanno permesso di dare corpo e anima a un film che Universal distribuirà nelle sale italiane oggi, 9 settembre.

La forza del film, un thriller che va ben oltre il genere, sta proprio nel personaggio di Damon, nella capacità dell’attore di scomparire dentro Bill Baker, di incarnare l’immagine che gli europei hanno degli americani, di restituire senso di colpa, voglia di riscatto e la stolidità dell’uomo medio che fatica a decifrare la realtà che lo circonda e che dopo l’esperienza vissuta non sarà mai più lo stesso, come dimostra la folgorante scena finale, sintesi del senso dell’intero film. Per delinearne il carattere e il punto di vista il regista si è lasciato guidare dal libro Strangers in Their Own Land della sociologa Arlie Russell Hochschild.

«Costretto a confrontarsi con una cultura che non gli appartiene in una lingua a lui sconosciuta – dice Damon, cinque nomination all’Oscar e una statuetta vinta – Bill è disposto a tutto per proteggere sua figlia, che sta scontando nove anni di prigione con l’accusa di aver ucciso la sua amica e amante. Un crimine passionale, secondo molti. Un sentimento che conosco bene, quello di voler anteporre i figli a tutto, da quando sono diventato anche io padre. Bill ottiene quello che pensa di volere, in realtà perde proprio ciò che l’aveva riportato a una vita che non sperava più di poter desiderare e a causa del suo sacrificio di genitore si ritrova in un Purgatorio dal quale non tornerà mai più indietro. La ragazza di Stillwater non è la tipica storia hollywoodiana del pesce fuor d’acqua, ma la tragedia di un uomo che perde ogni speranza. Bill è l’esatto opposto di Jason Bourne».

E continua: «È stato molto importante trascorrere del tempo in Oklahoma, dove la cultura, le abitudini, i comportamenti sono molto peculiari, diversi da quelli con cui sono cresciuto a Boston. È diventato uno degli stati più fedeli a Trump, la sua economia è legata al petrolio, le persone trascorrono ore e ore in macchina, hanno una fisicità molto particolare, indossano jeans ignifughi e rigidi che condizionano la loro camminata e si trasformano in una seconda pelle, calzano stivali rinforzati da metallo che non tolgono mai. Bill è uno di quegli uomini che, tornati a casa dal lavoro, mangiano fast food sul divano e si addormentano davanti alla tv. Ho incontrato tanti operai come lui. È l’ultima persona di cui la figlia avrebbe bisogno, eppure lui è l’unico avvocato di Allison, per il quale vuole essere finalmente il padre che non è mai stato a causa di tutti gli errori commessi in passato. Avendo girato il film in sequenza, l’ultima scena è veramente il culmine di un percorso umano tra i più affascinanti in cui mi sia mai imbattuto». A proposito della preparazione aggiunge: «Il film ci conduce a una fortissima empatia con Bill. Ogni volta che interpreti un personaggio è necessario avere una profonda comprensione delle ragioni che lo spingono a comportarsi in un certo modo».

Durante il primo lockdown dovuto alla pandemia, Damon e la sua famiglia si sono trasferiti in un piccolo villaggio costiero dell’Irlanda dove la popolazione locale li ha coccolati e protetti. Ma l’attore non nasconde il suo colpo di fulmine per Marsiglia, che con la sua multiculturalità ha avuto un ruolo importante nella definizione del tono del film. «Sono così innamorato di questa città che se fossi più giovane e dovessi vivere in Francia mi ci trasferirei subito. Potrei migliorare il mio francese che nel film si riduce a poche frasi». La proiezione del film a Cannes dopo mesi trascorsi davanti al piccolo schermo è stata fonte di un’emozione quasi incontrollabile. «La verità è che sto invecchiando e tutto mi colpisce molto più di prima. La cosa buona è che come attore non devo più fingere perché una vastissima gamma di emozioni sono lì a mia disposizione. Lo ripeto spesso, avere dei figli ha completamente cambiato la mia percezione delle cose. Sapete, in famiglia abbiamo questa regola delle due settimane, non ci separiamo mai per più di quindici giorni. Ma questa volta abbiamo dovuto fare un’eccezione ed è stata veramente durissima». Damon ama considerarsi un vero family man che non teme di prendersi pause nella sua carriera. «Quando nel 2017 mio padre è morto ho cominciato a ripensare a tutte le piccole cose fatte con lui e allora mia moglie Luciana ha proposto a tutta la famiglia di viaggiare insieme per alcuni mesi in Australia, facendo camping e vivendo tante piccole avventure quotidiane». Un’altra pausa dal set arriverà quest’autunno, quando i Damon si trasferiranno a New York. Rivedremo presto Matt però in The Last Duel di Ridley Scott al fianco di Adam Driver e Ben Affleck e nel film Marvel Thor: Love and Thunder di Taika Watiti, con Chris Pratt, Chris e Luc Hemsworth, Natalie Portman, Christian Bale, Russell Crowe e Melissa McCarthy.