I dannati di Roberto Minervini a Cannes 2024, «il dramma della guerra come condizione esistenziale»

Il film, dal 16 maggio al cinema, presentato dal regista al 77° Festival di Cannes

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I dannati

Tra realtà e finzione Roberto Minervini (Che fare quando il mondo è in fiamme?, 2018) trascina nel cuore della Guerra civile americana con I dannati, presentato al 77° Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard e al cinema dal 16 maggio con Lucky Red. Al centro del film, girato come un documentario dal regista esperto nel genere, c’è una battaglia nel pieno dell’inverno del 1862 in cui una compagnia di volontari dell’esercito degli Stati Uniti combatte per presidiare le terre inesplorate dell’Ovest.

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Dopo molti film nati in quello spazio ibrido che è il ‘documentario di creazione’, I Dannati rappresenta per me una sfida nuova: un film di finzione, storico, in costume, senza sacrificare il realismo, l’immediatezza e l’intimità dei miei lavori precedenti”, dice Roberto Minervini in conferenza stampa al Festival di Cannes, dove racconta di aver utilizzato in larga parte anche l’improvvisazione per realizzare alcune scene del film a fronte di un lavoro di studio sulla storia molto approfondito.

I dannati, tra storia e contemporaneità

Nel pieno della guerra di Secessione un pugno di uomini svolge una missione sulla linea della frontiera e si interroga sul senso ultimo della guerra. Il film, spiega il regista, è stato girato nel 2022, “da allora lo scenario geopolitico è drammaticamente cambiato”, ma le istanze che hanno dato vita alla pellicola risultano così universali da renderlo, purtroppo, ancora più attuale.

Ho avuto un rapporto a volte simbiotico e a volte dissonante con il cinema di guerra proprio per una presentazione del tema che guarda alla giusta causa e all’idea di vittoria, come se la guerra avesse un valore elevato ed intrinseco con la sua rappresentazione muscolare e virile. Mi interessava invece riflettere e riscrivere sulla guerra come condizione esistenziale”.

I personaggi de I dannati, i cui interpreti sono in parte attori con cui Minervini aveva già lavorato nei suoi precedenti film e in parte uomini scelti per l’occasione, rappresentano, come il titolo stesso del film suggerisce, dei veri e propri “condannati” ad una guerra che mischia l’aspetto materiale a quello spirituale. “Per anni ho avuto modo di ascoltare i racconti dei veterani di guerra americani che mai hanno esaltato la guerra, vista invece sempre come qualcosa di molto umano e legato ad un guadagno materiale, come se non fossero veramente consapevoli, fino all’ultimo, del rischio della battaglia e di quell’incubo e oblio in cui si cade quando la si vive. Per questo, nel realizzare un film di guerra, mi sono focalizzato sull’umanità delle persone, che inevitabilmente fanno riferimento alla propria vita reale e ordinaria e ai propri sogni, mentre si interrogano sulle ragioni più trascendentali della guerra”.

I dannati, spiega ancora Minervini, è costruito con un prima, un durante e un dopo della battaglia, “quando poi resta solo la chimera di una possibile via d’uscita”. “L’aspetto tragico del film – lo dico anche da americano di adozione – è che quando la guerra comincia a diventare una condizione esistenziale ogni giustificazione si disintegra e diventa qualcosa di fondamentalmente disumano”.

Il suono e la fotografia

Nel film anche il suono e la fotografia contribuiscono a comunicare il racconto di una guerra, che, attraverso l’osservazione intima dei suoi protagonisti, porta ad una riflessione più universale. “Il suono degli spari nel corso del film cambia. Inizialmente sono quelli realmente prodotti dalle armi dell’epoca, mentre man mano che il film procede questi diventano sempre più simili a quelli delle guerre contemporanee, si parte dal suono dei moschetti e si arriva fino agli spari degli AR-15 odierni. Mentre per la fotografia abbiamo utilizzato lenti vintage che producono un effetto di aberrazione cromatica per cui è possibile mettere a fuoco solo un oggetto. Ciò ci ha obbligato con entusiasmo a mettere i personaggi al centro e ci ha permesso di creare un rapporto molto intimo tra lo spettatore e il personaggio, in cui ciascuno ha il suo singolo palcoscenico al centro del fotogramma e si fa portavoce della storia