Bruno Bozzetto si racconta al Ca’ Foscari Short Film Festival

Abbiamo intervistato il grande animatore, ospite del festival veneziano. Dove ha ripercorso la sua carriera, compreso un progetto mancato che avrebbe anticipato Frankenstein Junior. E che sta lavorando a una serie sul Signor Rossi calato nel nostro presente.

0

«Mi sento molto vecchio in mezzo alle cose nuove», dice ironico Bruno Bozzetto, classe 1938, ospite del Ca’ Foscari Short Film Festival a Venezia. Ma se c’è uno che dentro è rimasto giovanissimo, quello è proprio il genio e pioniere dell’animazione italiana, da lui portata per oltre settant’anni di carriera in giro per il mondo (vincendo, tra le altre cose, l’Orso d’oro a Berlino e correndo agli Oscar nel 1991), tra parodie western, cine-supereroi ante-litteram, rappresentazioni esilaranti dell’italiano medio e molto altro. Ma lui, anziché darsi arie (e potrebbe permetterselo), ricorda che i suoi lavori «hanno trenta, quaranta, cinquant’anni, quindi tecnicamente non sono “a fuoco” come quelli di oggi». E però, aggiunge, «è bello essere tra i giovani, e il fatto che loro apprezzino cose fatte così tanto tempo fa mi onora. Vuol dire che qualcosa di giusto l’avevamo fatto».

Il cortometraggio e l’animazione. Un genere di cinema e una tecnica molto sottovalutati da noi, specie quando tu hai iniziato…

Infatti in Italia ero solo. Dal primo film sono andato a Cannes, e lì ho conosciuto i più grandi dell’animazione, ne cito uno su tutti, Richard Williams, quello di Roger Rabbit. O anche Norman McLaren. Ho conosciuto i capi della Zagreb Film, che erano tutti giovanissimi, e gli animatori di Praga. Mi sono trovato ad essere l’unico italiano in un mondo che non sapevo neanche esistesse. Di colpo, ho visto che tanti ragionavano come me! Dopo Cannes sono andato ad Annecy, ed anche lì ero l’unico italiano. Da quel momento i film ho cominciato a farli per loro, perché il pubblico italiano non esisteva, non lo prendevo proprio in considerazione: in sala questi corti non andavano, e la televisione non li trasmetteva. Poi le cose sono cominciate a cambiare col passaggio ai lungometraggi per il cinema.

Anche quella deve essere stata una bella scommessa.

Quando ho fatto West and Soda e l’ho portato alla Cineriz, la prima cosa che mi hanno detto è stata: “Bruno, ma perché fai un western?!”. Guardavano al passato. E questa è la differenza tra chi crea e chi cerca di fare i soldi. Chi vuole fare i soldi va su ciò che ha già avuto successo, chi crea è un po’ pazzo, fa delle cose nuove che possono rivelarsi sballate. Ma anche essere un successone.

Hai precorso i tempi anche con Vip – Mio fratello superuomo, del 1968, se pensiamo all’attuale fenomeno dei cinecomics di supereroi.

Già, ma i tempi cambiano molto velocemente. In quel momento era giusto farlo, oggi chissà cosa farei, di sicuro non più quello. All’epoca ci interessava molto la parodia, infatti avevamo pensato a lungo a Frankenstein, prima ancora che uscisse la versione di Mel Brooks! Avevamo fatto tanti disegni preparatori. Quello sarebbe stato il genere più interessante per noi, ho sbagliato a non farlo.

E tra i tuoi lavori per il cinema, a quale ti senti più legato?

Allegro non troppo. È quello che ha avuto più diffusione nel mondo. E poi io amo moltissimo la musica classica. Però quello che ho fatto con più passione e ci siamo divertiti di più a realizzare è stato West and Soda. Un gioco completo, ci si alzava la mattina e si cambiava questa o quella sequenza. Eravamo liberi, per il vantaggio di essere produttori.

Invece col popolarissimo signor Rossi hai raccontato l’italiano medio del secolo scorso. Oggi quel personaggio come cambierebbe?

Penso che andrebbe calato nella vita moderna, e ci starebbe anche bene. Possono nascere situazioni molto divertenti, pensiamo ai cellulari, alle carte di credito e cose del genere. Abbiamo già iniziato un progetto di serie, su questo. Prenderò da esempio mia moglie, che non ha ancora capito come si usano i telefonini: quando la chiamo devo chiamarla tre volte, la prima perché non lo sente, la seconda perché toccando i numeri lo spegne, e alla terza finalmente risponde.

Il celebre Signor Rossi creato da Bruno Bozzetto.

A un certo punto c’è stato anche il passaggio al live-action, culminato col lungometraggio del 1986 Sotto il ristorante cinese. Che esperienza è stata per te?

Un’esperienza che desideravo molto, perché amo il cinema live-action, anzi ora lo guardo più di quello d’animazione. È stato un tentativo: io dico che ho fatto due film, non uno, perché è stato il primo, e l’ultimo! Anche lì ero co-produttore, e ho fatto la stupidaggine di mettere in sceneggiatura  dei riferimenti al tempo atmosferico. Mai farlo! Ricordo che eravamo nel sud della Sardegna, in settembre, per otto giorni su quindici ha piovuto, una pioggia torrenziale. Una mattina gli operatori dovevano venire dall’albergo, si sono dovuti fermare perché di notte era caduto un albero. Un apocalisse, proprio mentre dovevamo girare noi! E invece poi a Milano, dove ci serviva la nebbia, c’era un tale sole che siamo dovuti andare a girare nelle vie strette per avere l’ombra.

Un’altra generazione ti ha scoperto tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila grazie ai corti animati realizzati con AdobeFlash…

Lì ho scoperto un mezzo meraviglioso. Pensa a Europa&Italia: non so quanti milioni di visualizzazioni abbia avuto nel mondo, ed è stato fatto con due disegni: un rettangolo e un cerchio. Ho trovato fantastico utilizzare la tecnologia in questo modo, anche perché non costa nulla. E ora ho saputo che è diventato uno stile!

Tra gli autori cinematografici contemporanei ce ne è qualcuno che apprezzi particolarmente?

I fratelli Coen, impazzisco per loro. Ma ce ne sono tanti. Nelle serie tv oggi fanno dei capolavori, sono allibito dalla qualità di ciò che vedo. La serialità ormai ha quasi soppiantato il lungometraggio. Seguo tanto le serie che, quando ne inizio una, spero che qualcuno mi dica: “Fa schifo!”, così smetto, altrimenti starei lì fino alle 3 di notte a guardarle, per quante sono!

E, sempre parlando del presente, ti sembra che per l’animazione in Italia le cose siano cambiate rispetto all’epoca dei tuoi esordi?

Sono cambiate moltissimo, perché la televisione ha scoperto l’animazione e ne fa un grande uso, e perché nell’immaginario collettivo è entrata l’idea che possa affrontare temi importanti. Forse si è ancora un po’ troppo legati ai bambini, la maggioranza dei film d’animazione sono ancora per loro.  Va benissimo che ci siano anche di questo tipo, intendiamoci, ma ci si dovrebbe aprire di più. Io adoro i Simpson, ad esempio: quando feci la Famiglia Spaghetti, vent’anni fa, mi dissero: “Che bello, la risposta ai Simpson!”. Ma poi quando proponevo un personaggio trans e cose del genere, ci si fermava. Si evitava ciò che potesse risultare troppo “provocatorio”, e questo mi dispiace un po’.