Tra Ozon e Fatih Akin. Velleità e verità di Cannes 70

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L’amant double di François Ozon e In the fade del turco Fatih Akin rappresentano bene l’alfa e l’omega di questa Settantesima edizione del festival di Cannes, che è difficile definire riuscita. Probabilmente è un fatto di stagionalità, ma non solo, si sospetta. Si teme, come scrivono a Libération, che Thierry Frémaux prediliga i nomi di autori amici e affezionati alla Croisette e che questo spesso lo conduca in un vicolo cieco. Si sospetta inoltre che prevalga su tutto un senso di sorpresa mediatica necessaria, provocazione, presunta ricerca di cinema che scotta, un’eccessiva tendenza a mostrare il weirdo come innovazione ed evitare quel che si crede, si pensa, sia accademia.
Certo Ozon è francese e non accettarlo in concorso sarebbe stato difficile per chiunque, ma ciò non toglie che rappresenti al massimo la tendenza “épater le bourgeois” e a tutti i costi: divaricatore che entra in soggettiva nella vagina della protagonista Marine Vacht (Giovane e bella), nudi a profusione anche in occasione di una banale sigaretta in poltrona, scene di sesso a quattro con gemelli e raddoppiamento di teste, twins buoni e mostruosi, feti, sogni, visioni, lei che sodomizza lui con un vibratore, vicine di casa che somigliano  all’Inquilina del terzo piano, gatti che spariscono nel nulla narrativo. Ozon ce la mette tutta per essere De Palma, Hitchcock e soprattutto Cronenberg, ma non ce la fa. Visto l’inquadratura finale si teme il sequel. Un malinteso cinema da cinefili e da festival, con trama indistricabile spinta all’assurdo e complicazioni simboliche, con venatura horror, forse per reazione alla distensione narrativa della serialità.
Insomma il cinema-cinema deve essere oscuro, simbolico, provocatorio e inafferrabile. Ma poi torna il buon senso appena sullo schermo arriva il film di Fatih Akin, che scandisce la storia in quadri chiari, in crescendo emotivo, modulando lo stile sul racconto, buttandoci in faccia solo all’ultimo la provocazione estrema, eppure così reale, brutale, attuale. La verità del dolore, del terrorismo, del razzismo, del costo umano della follia e dell’odio, del sistema di giustizia arrugginito e del ritorno al nazismo che inquina le acque. Pochi tratti, una storia che ci riguarda, una protagonista che ci spacca il cuore, Diane Kruger. Il cinema che non aspira solo a disturbare o alla qualifica di capolavoro à tout prix. Il cinema quando c’è ed è necessario. Su questo Settantesimo anniversario che va chiudendosi con parecchi brutti film, ci sarà da interrogarsi: è colpa di Cannes o è colpa, sempre più, del cinema, arte in fase di cruciale mutazione? La risposta alle prossime puntate. A Venezia, Toronto, Roma.

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