Alla 81. Mostra Internazionale di Cinema di Venezia è stato il giorno di Angelina Jolie e Pablo Larraín, ma anche di Alfonso Cuarón che, con Cate Blanchett e Kevin Kline, ha presentato Disclaimer, serie in arrivo l’11 ottobre su Apple TV+ e basata sul best-seller di Renée Knight, La vita perfetta. Un avvincente thriller psicologico in sette episodi, nel quale con i due Premi Oscar troviamo anche Sacha Baron Cohen, Lesley Manville, Kodi Smit-McPhee, Louis Partridge, Leila George e Hoyeon (con Indira Varma come voce narrante).
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Nella serie, Catherine Ravenscroft (Blanchett) è una famosa giornalista che ha costruito la sua reputazione rivelando le malefatte e le trasgressioni degli altri. Quando riceve un romanzo da un autore sconosciuto, si rende conto con orrore di essere la protagonista di una storia che mette a nudo i suoi segreti più oscuri. Mentre Catherine lotta contro il tempo per scoprire la vera identità dello scrittore, è costretta a confrontarsi con il suo passato prima che questo distrugga la sua vita e i suoi rapporti con il marito Robert (Baron Cohen) e il figlio Nicholas (Smit-McPhee).
Perché avete scelto di fare una serie dal romanzo?
Cuaron: In effetti, quando ho letto il libro qualcosa è scattato immediatamente nella mia mente, e ci ho visto un film. All’epoca però non sapevo come farlo, perché il film che ci vedevo era molto lungo. È stato anni dopo che mi è venuta l’idea di usare un formato più lungo. Un formato che ammiro e con il quale si sono cimentati artisti come Fassbender e David Lynch, Kiyoslovsky e i Taviani.
E l’idea del voiceover?
Cuaron: Ammiro il voiceover nei film, quando viene usato correttamente e non per pigrizia, e l’idea di sfruttarlo mi affascinava. Da tanto, da quando da giovane vidi L’uomo che dorme di Bernard Queysanne, che mi colpì per una rara narrazione in seconda persona che mi ha sempre incuriosito. In una storia così, nella quale ci sono diverse prospettive e punti di vista, mi ha aiutato in quello che stavamo cercando di fare. Durante tutto il film abbiamo una immagine dei personaggi in contrasto con quello che sappiamo di loro, ma l’importante è come il pubblico percepisce i personaggi. E ogni persona ha un approccio molto diverso.
Adattando la sceneggiatura avevate pensato subito a Cate Blanchett e Kevin Kline?
Cuaron: Kate c’era sin dall’inizio.. Anzi, ero terrorizzato che dicesse di no. Proprio in una delle prime conversazioni con lei, credo fosse a una cena a New York, parlando di quanto fosse straordinario il personaggio di Stephen per qualche motivo è saltato fuori Un pesce di nome Wanda e mi ha detto solo: “Kevin!”. Non mi capacitavo di non aver pensato a lui quando abbiamo iniziato a fare i nomi per il ruolo. Certo, lui è statunitense e il personaggio è britannico, ma Kevin ha già recitato con quell’accento, è un attore esperto.
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Catherine è l’immagine del successo, ma ci sono delle ombre, avete lavorato ‘al contrario’, in un certo senso, rispetto alla narrazione convenzionale?
Blanchett: Per me, la sfida e l’agonia di interpretare un personaggio come questo – che ha dedicato la sua vita a denunciare ingiustizie – è che la crisi esplode quasi subito dopo averla conosciuta, quando ancora non sappiamo nulla di lei, ma solo quello che gli altri dicono di lei. È stato difficile non rivelare troppo, giocarci, e fin dalla prima lettura del copione sono rimasta scioccata dai livelli di giudizio che emergevano. Soprattutto visto che mi considero una persona ‘non giudicante’. Pensando al fatto che tutti noi siamo gli eroi delle nostre narrazioni, mi è venuto in mente Mio zio d’America di Alain Resnais, nel quale le voci sono molte e tra tante posizioni contrastanti si va ricomponendo la verità. Poi, nella pratica, è stato un processo particolarmente lungo, mi ci è voluto più di un anno per recuperare, ma è stato interessante tenere separate le diverse prospettive per scoprirle via via.
Kline: Una narrazione che mi ha affascinato. L’idea di inaffidabile o affidabile, a quali informazioni credere, a torto o a ragione, è comune nell’epoca in cui viviamo. E rimanda alla difficoltà di credere al proprio personaggio. Se si crede a ciò che sembra essere di fronte a noi, e si agisce di conseguenza, non sempre finisce per rivelarsi la decisione migliore. L’interiorità, il modo in cui funziona la mente dei personaggi, è fondamentale. Le cose accadono al mio personaggio, e lui è in continua evoluzione, per cui girare per un periodo di tempo così lungo (circa 200 giorni, ndr.) è stata un’esperienza di apprendimento costante. Con Alfonso c’è sempre molto di più di quello che si vede, si espande continuamente.
È vergogna o colpa quella che domina nella vicenda di questa donna?
Blanchett: Sono due cose molto diverse. Al momento trovo ci sia una netta mancanza di vergogna nella società, ma se il senso di colpa è un’emozione inutile, la vergogna e il rimpianto, e le lezioni che se ne possono trarre, sono molto potenti. Basta guardare il modo in cui si cerca di educare un figlio. Se svergognate pubblicamente un bambino, questo può portare rabbia, o una reazione uguale e contraria. Meglio prenderlo da parte, e spiegargli le cose in privato. Penso che le conversazioni private siano spesso molto più potenti di quelle pubbliche. Non dico che queste non siano importanti, ma credo che spesso sia più utile una riconciliazione faccia a faccia.