Ha preso il via il 14 ottobre con Stefano Fresi la XV edizione di CineCampus – Lezioni di Cinema, la serie di masterclass di artisti e professionisti del cinema e dell’audiovisivo ideate dalla Festa del Cinema di Roma 2022 nello Spazio Regione Lazio Roma Lazio Film Commission.
L’attore romano, che nei prossimi giorni sarà doppiamente protagonista alla Festa con le pellicole War – La guerra desiderata e The Land of Dreams, ha raccontato al pubblico progetti ed esperienze lavorative alternando aneddoti tra vita professionale e privata. Dopo l’esordio sul piccolo schermo con Un medico in famiglia (era il milanese Rosalbo, parente di Francesco Salvi), Michele Placido lo scelse per la parte de il Secco nel drammatico Romanzo criminale (2005), ruolo che gli aprì le porte del grande cinema. Di quell’esperienza, ricorda Fresi: «Non potevo immaginare tutto quel successo, ma era auspicabile perché il libro era diventato un caso letterario e poi l’intero cast era eccezionale. Tutto avrei pensato meno che parteciparvi. Pensate che quando uscì la notizia della morte del vero Enrico Nicoletti, il cassiere della banda, sul giornale ci finì la mia faccia!».
Nel 2014 è nel cast di uno dei titoli più apprezzati del decennio, Smetto quando voglio (12 nomination ai David), commedia sul precariato italiano, trasformata anni dopo in una trilogia. «Quando abbiamo girato il primo, non sapevamo che avremmo fatto due seguiti – racconta Fresi – È stata un’idea di Sidney [Sibilia]. Li abbiamo girati back to back, una cosa faticosissima! Praticamente il primo giorno di set ho girato il finale del terzo e l’ultimo giorno l’inizio del secondo». Parlando di fatiche, il lavoro più impegnativo affrontato in carriera, ammette Fresi, è stato quello per la miniserie de Il nome della rosa: «Si trattava di una produzione mastodontica, con grandi star internazionali. Per interpretare Salvatore il deforme passavo al trucco oltre 3 ore al giorno. Mi sono portato appresso il nero sotto le unghie per mesi!».
Attore di cinema, teatro e tv, ma anche doppiatore, nel suo futuro Fresi non vede spazio per la regia o la produzione: «Le ammiro a distanza. Ognuno deve fare quello che sa fare. Credo che un regista debba conoscere profondamente il linguaggio dell’immagine, sapere come usare le macchine da presa a livello tecnico e io non ho quella cultura». Una vita dedicata all’amore per la recitazione, dunque, nella quale non sono mancati momenti di difficoltà: «Quello dell’attore è un mestiere precario, ho vissuto come tutti momenti di difficoltà. Ma ho continuato ad insistere su questa strada: l’unica che mi dà serenità». E aggiunge: «poter vivere della tua passione è un privilegio straordinario. È un lavoro stancante, ma vado a letto con il sorriso da un orecchio all’altro, da sempre. L’idea di salire su un palco e avere qualcuno che ti ascolta è il senso della mia professione. Che ci sia una o un milione di persone ad ascoltarti. La mia urgenza è raccontare a qualcuno che è disposto a sentire».