Il Concorso dello Short chiude tra partenze, ritorni e il grido degli animali

Storie di viaggi compiuti o abortiti, di ritorni mancati e denunce delle violenze che infliggiamo ad altre creature viventi sono al centro degli ultimi corti presentati il 23 marzo allo Short.

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Alla quinta e ultima serie di titoli in competizione, il 14° Ca’ Foscari Short Film Festival si conferma vetrina su un cinema che non ha paura di scuotere le menti e i sensi degli spettatori portandoli, magari, a riconsiderare il loro punto di vista, fra temi scomodi e prospettive inconsuete. E se, come diceva Feuerbach, siamo ciò che mangiamo, il nostro immaginario non può rimuovere la sofferenza inferta dalla specie umana al mondo animale. Di questo grido si fanno carico i film con cui, emblematicamente, si apre e chiude la sestina, l’ungherese Fox Tossing (di Zénó Mira) e il francese Le chant des bêtes (The Song of the Beasts, di Titouan Ropert).

Nel primo ritroviamo l’animazione senza dialoghi e la satira dell’alta società con cui si era inaugurata la selezione: ma al variopinto onirismo e alla vitalità anarcoide del Pulcinella de La notte si sostituiscono qui il bianco e nero sporco, il tratto aspro e i movimenti spezzati dell’orgia mortifera di un’aristocrazia settecentesca fatta di ombre de-umanizzate, con macchie scure al posto degli occhi.

Perché le uniche emozioni in cui poterci rispecchiare sono negli sguardi delle volpi, prigioniere di un gioco sadico che le tortura e uccide. Versi straziati e corpi martoriati di creature innocenti sono lo sfondo del pigro, indifferente banchetto dei carnefici, richiamando alla mente lo straniamento agghiacciante della Zona d’interesse di Glazer, e persino lo Schindler’s List spielberghiano, nell’opzione per il solo, simbolico colore rosso: quello delle prigioniere massacrate, e quello che lascia un gesto inatteso di liberazione contro la mano del carnefice.

Un’immagine del corto Fox Tossing.

Sembra invece non ancora estinta, malgrado tutto, la nostra capacità di provare empatia verso altri esseri viventi nel presente ipermediatico de Le chant des bêtes. Dove le immagini delle sofferenze inflitte ai maiali di un mattatoio entrano nella routine di un giornalista e nel nostro orizzonte percettivo, portandolo e portandoci a mettere in discussione più di un pregiudizio antropocentrico e a schierarci sulla crudeltà e insostenibilità di un sistema produttivo che, oltre al nostro ecosistema, intossica anche le anime di chi ne fa parte.

Tra questi due affini colpi allo stomaco si snodano altri quattro lavori che riportano la lente sulle relazioni familiari, trovando una peculiare e variamente declinata chiave comune nella dialettica dei movimenti di partenza e ritorno.

Rilegge a modo suo la parabola evangelica del Figliol prodigo l’amaro Pusta Noc (di Ina Hrabarenka), traducendola al femminile e risolvendola nel rapporto fra le due sorelle ormai orfane, in una Polonia di provincia dove redimersi e colmare la solitudine, più che una speranza, sembra una chimera. Gli fa eco il malinconico incontro fra le donne protagoniste del sino-americano Manting (di Shuyao Chen), lentamente (ir)risolto in una passeggiata per la città notturna dai suoni ovattati, come il ricordo e il rimpianto di un amore che non può tornare.

Come non può partire il sedicenne protagonista dell’indonesiano Accidentally, Intentionally (di Kevin Rahardjo), sconsolante spaccato di un’adolescenza cui è vietato di vivere le proprie pulsioni erotiche con serenità, nella costante, carceraria oppressione di una madre soffocante e di un fondamentalismo religioso che rischia di colonizzare anche i sogni.

Chi sembra riuscire, pur tra non poche peripezie, a muoversi davvero dal punto d’avvio (fisico ed esistenziale) del proprio viaggio è la donna, vedova e madre di Chai – Coffi (di Sanjoli Malani). Il cui viaggio tra le insidie e le bellezze dell’India meridionale, alimentato dalla suggestione di una semplice immagine, ci parla della ridefinizione ed emancipazione di un’identità attraverso il contatto con l’esterno, con l’altro. Ciò che i cineasti dello Short, anche quest’anno, ci hanno mostrato rendendoci forse un po’ più consapevoli della varietà e complessità attorno a noi.