Liliana Cavani al Ca’ Foscari Short Film Festival: «Dovremmo essere tutti contro le armi»

La regista è stata ospite della manifestazione veneziana il 22 marzo. Abbiamo parlato con lei della sua carriera, del suo recente film "L'ordine del tempo" e della drammatica situazione di un mondo che sembra sprofondare verso un conflitto senza ritorno.

0
30/08/2023 Biennale di Venezia, 80 Mostra Internazionale d' Arte Cinematografica, cerimonia di apertura con il Leone d’Oro alla Carriera alla regista Liliana Cavani nella foto

«Mio nonno, socialista, credeva nel progresso che avanza. Pensavo avesse ragione, invece non è così. Certo, la scienza ci ha permesso di vivere di più, curare malattie. Ma ci siamo anche inventati delle armi assurde». Liliana Cavani, ospite il 22 marzo del 14° Ca’ Foscari Short Film Festival, parla col tono pacato di chi ha visto (e narrato) abbastanza da non farsi più facili illusioni, ma ciò che dice è ancora in grado, come i suoi migliori film (da Galileo a Il portiere di notte), di affondare criticamente nelle piaghe della Storia, dei suoi errori ed orrori, fino al presente.

Classe 1933, unica donna della sua classe al Centro Sperimentale di Cinematografia («C’era una danese», ricorda, «a un certo punto è scomparsa!»), Cavani, ormai riconosciuta come una delle più significative e coraggiose registe del nostro cinema, è intervenuta allo Short pochi mesi dopo il Leone d’oro alla carriera dell’80ma Mostra del Cinema di Venezia (preceduto dall’omaggio del Pesaro Film Festival nel 2021). E, prima di raccontarsi in dialogo col critico Anton Giulio Mancino all’Auditorium Santa Margherita, ha parlato a lungo con i giornalisti e gli studenti che animano la manifestazione dedicata ai corti. Una forma di cinema che, peraltro, la filmmaker ha frequentato pochissimo, perché, confessa, l’idea di realizzare opere così brevi le suscita «angoscia: fare film di sette, otto, dieci minuti è come dire che se ti piace la torta ne mangi solo una fettina. Dammene almeno due, o tre!».

Non per nulla è un lungometraggio il suo titolo più recente, L’ordine del tempo, ispirato all’omonimo saggio del fisico Carlo Rovelli: «Mi interessava molto», spiega, «perché il tempo è una nozione che ci perseguita. Ci siamo abituati, lo “reggiamo”, ma sappiamo che ogni vita dura un tot. Un po’ più, un po’ meno… Ma a un certo punto finisce. Il testo lo racconta in termini scientifici, ma potrebbe anche accadere, come si racconta nel film, che un astro incroci la traiettoria della Terra. E a questo punto ti domanderesti: “La mia vita che senso ha? Cosa ho fatto, cosa faccio?».

Del resto, aggiunge la regista, a volte «è bene non sapere. I poveretti di Hiroshima e Nagasaki non sono certo stati avvertiti». La tragedia della Seconda Guerra Mondiale è un pensiero ricorrente nella Cavani di oggi, e ha avuto un peso non indifferente in tutta la sua attività: «Ai miei tempi neanche si arrivava a studiarla a scuola, io mi sono laureata in Lettere Antiche, quindi conoscevo più la guerra nel Peloponneso. Poi però ho realizzato dei documentari sulla storia del Terzo Reich e su Stalin. Per cui mi sono “aggiornata”».

Più tardi c’è stato anche il biopic Rai su Einstein (2008), che l’ha portata a documentarsi sugli effetti devastanti delle atomiche sganciate dagli USA: «Molte persone che non sono morte sono rimaste per tutta la vita piene di cicatrici, a causa delle elevate temperature». E qui sta il motivo per cui la regista non ha amato Oppenheimer, il film di Christopher Nolan trionfatore agli Oscar 2024: «Perché fa vedere quello che succede nel deserto della California, ma non ciò che accade dopo, lanciando le bombe in Giappone».

Ma da allora, cosa abbiamo imparato? Non molto, o forse stiamo tornando indietro, con le politiche di riarmo cui si apprestano oggi le classi dirigenti europee, e su cui l’opinione di Cavani è nettamente critica: «Parlano di mandare altre armi in Ucraina, e se il papa dice di smetterla lo accusano di essere dalla parte dei russi. Credo sia molto grave ciò che sta accadendo: dovremmo essere tutti contro le armi».

Da un nuovo conflitto planetario infatti, la regista ne è convinta, non solo nessuno uscirebbe vincitore, ma nessuno potrebbe salvarsi: «Non ci potremmo far niente. Perché non sarebbe una guerra fatta solo di soldati. La guerra oggi non è più tra uomo e uomo, come la raccontava Omero. Oggi le persone lanciano delle cose e non vedono ciò che accade sotto. La fisica viene usata in funzione di quanto uccidere».

Con buona pace di quel nonno socialista della filmmaker che credeva nel progresso dell’umanità. Certo, qualche buona idea nel corso della Storia c’è stata, come la fraternitas di quel San Francesco cui Cavani ha dedicato non casualmente tre film. Anche se per la cineasta la religione «è un fatto talmente personale che non me la sento di dare giudizi per nessuno. Ognuno ha i suoi sentimenti e deve essere libero di coltivarli. Una conquista di oggi è che non c’è più la religione di Stato, un tempo per andare a scuola di voleva il certificato del battesimo».

Ad ogni modo, una cosa in cui la regista sembra non aver smesso di credere è il cinema. Passione nutrita sin dagli giovanili in Emilia-Romagna, quando si spostava dalla natia carpi a Bologna «e c’era un amico prete che ci prestava le salette il sabato mattina per vedere le opere di Bergman, di Dreyer…»: titoli «“diversi”» da quelli cui l’aveva abituata sua madre: «Mi aveva fatto vedere tantissimi film d’amore perché le piacevano molto, io invece mi annoiavo un po’…».