Una delle tante belle cose della Mostra del cinema di Venezia è senz’altro la sezione Venezia Classici. Prima di tutto perché offre l’opportunità di vedere magnifici film del passato perfettamente restaurati e riportati al loro antico splendore. E poi perché, lato documentari, permette di far conoscere a un pubblico più giovane dei grande cineasti le cui opere sono di difficile reperibilità e di cui, spesso, le nuove generazioni non conoscono. E non conoscere le opere di Sergej Parajanov è un peccato.
Armeno nato in Georgia cento anni fa, Parajanov è morto nel 1990, dopo una vita dedicata all’arte, al cinema e alla verità. Osteggiato dal regime sovietico, è stato più volte arrestato e condannato a pene detentive, supportato dalla comunità artistica mondiale che ogni volta a gran voce ne chiedeva il rilascio. Ci ha lasciato pochi film, tutti straordinari, come Il colore del melograno e La leggenda della fortezza di Suram, realismo magico applicato alle antiche storie della tradizione armena.
Un cinema unico, analizzato nel documentario “I will revenge this world with love” S. Paradjanov diretto da Zara Jian e che vede la partecipazione di alcuni grandi registi particolarmente influenzati dalle sue opere, come Emir Kusturica, Tarsem Singh e Atom Egoyan, naturalizzato canadese, ma Armeno di famiglia.
«Penso che per qualsiasi regista armeno, direi per qualsiasi creatore di immagini armeno, Parajanov ha un’influenza enorme» ci ha detto Egoyan, che abbiamo raggiunto nel suo studio in Canada. «Perché rappresenta l’Armenia dall’interno e dall’esterno. Era una figura diasporica, perché è vissuto in Ucraina e ha girato film in Ucraina, ma era molto legato al Caucaso, non solo all’Armenia, ma all’intera regione. Poi, come artista, ha un’assoluta unicità di visione. Il fatto che abbia creato un linguaggio visivo allo stesso tempo molto formale e incredibilmente libero è un’alchimia meravigliosa. Il colore dei melograni è quasi un museo visivo, per me è stata un’ispirazione diretta per Calendar, un mio film del 1993, per cui sono andato praticamente in pellegrinaggio in molte chiese in cui lui stesso aveva girato. Potrei continuare all’infinito. Voglio solo dire che è una figura monumentale che ha creato un cinema unico».
Per Zara Jian raccontare e far raccontare l’opera di Parajanov, soprattutto in questo momento, mentre la guerra tra Russia e Ucraina si fa sempre più cruda e violenta, era una missione di vita.
«Sono cresciuta in Armenia fino all’età di 17, 18 anni. Naturalmente sapevo chi fosse, ma è stato quando sono andata via, prima in Russia, poi a Los Angeles, che in modo molto misterioso si presentava in qualche forma nella mia vita. Un’opera in un museo, una retrospettiva. Nel tempo ho approfondito lo studio della sua vita e delle sue opere e sono diventata più consapevole della portata del suo lascito. Come essere umano ho capito tutte le sue scelte.
Sulla sua arte non ho parole, perché quest’uomo, anche in prigione, creava. E tutte quello che ha fatto sono per me capolavori. Cercava di essere in mezzo alla bellezza creandola, perché non riusciva ad accettare ciò che il mondo offriva. Poi, nel 2.020, c’è stata la guerra in Armenia, ed è stato il periodo più difficile della mia vita, a quel tempo vivevo a Mosca. Ero confusa, aggressiva den e sentivo che mi stavo distruggendo. Ma rimasi comunque in Russia, perché avevo molte domande da fare questa guerra. Nel 2022, in ottobre, otto mesi dopo l’inizio del conflitto con l’Ucraina, non riuscivo nemmeno a respirare, ho fatto le valigie, sono tornata in Armenia e sono andata al Museo Parajanov.
Guardando il suo autoritratto, e ricordando che lui si definiva figlio di tre nazioni, una cosa che oggi non sarebbe possibile. E ho iniziato a pensare che questo suo messaggio sia oggi fondamentale da trasmettere alle giovani generazioni, per cambiare le cose continuando a fare arte e a creare bellezza. Così la mia missione è diventata quella di portare questo messaggio ai miei amici alle giovani generazioni attraverso le opere e la vita di Sergej Parajanov»