#Pesaro58 – Un altro giorno d’amore: parla la regista

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Intervista all’esordiente Giulia D’Amato, che alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema – Pesaro Film Festival porta in anteprima il suo film documentario sul mondo degli ultrà

Un esordio radicale, in più di un senso, quello di Giulia D’Amato alla 58ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema – Pesaro Film Festival col lungometraggio Un altro giorno d’amore, presentato il 24 giugno al Teatro Sperimentale. Questo debutto alla regia, infatti, raccoglie la sfida di mettere a fuoco senza stereotipi il mondo degli ultrà calcistici, partendo da un’esperienza personale: «Da giovanissima», racconta la trentaseienne D’Amato, «stavo con un ragazzo che andava in Curva. A Perugia un gruppo della Curva è politicizzato, e lì perciò ho scoperto i racconti che sentivo a casa, essendo mio padre un ex militante di Lotta Continua: sono sempre stata educata con l’idea che il mondo si possa cambiare se il sistema e le sue regole non ci piacciono. E quella passione che sentivo a casa l’ho ritrovata in un posto che viene sempre narrato attraverso una comunicazione falsata, che riporta solo una parte».

Un tema scottante, insomma, per un film prodotto dalla stessa regista con realtà amiche come le perugine Cinema Postmodernissimo e Dromo Studio, le etichette discografiche Lost Generation Records e To Lose La Track, insieme allo studio di magliette Taboo. Senza dimenticare il supporto di Gianluca Arcopinto, col quale D’Amato ha intrapreso il suo percorso professionale dopo gli studi al Centro Sperimentale di Cinematografia. «Con lui», sottolinea la regista, «ho trovato, non dico il mentore, ma qualcuno in grado di capire certi miei ragionamenti che ho sempre pensato fossero un po’ fuori dagli schemi: e ho trovato un altro fuori dagli schemi, a volte persino più di me!».

Amici ed ex colleghi di D’Amato sono anche gli sceneggiatori Marco Borromei e Elisa Dondi: con loro la filmmaker ha scritto Un altro giorno d’amore, che intreccia lo spunto autobiografico con le vicende di altri veri personaggi legati alla militanza politica e alle Curve. Tra questi, Davide Rosci, che ha scontato sei anni e sei mesi di carcere per concorso morale in devastazione e saccheggio a seguito degli scontri del 15 ottobre 2011 a Roma, e Mariapia Merzagora Parodi, madre di Edoardo, altro militante e curvista, nonché amico di Carlo Giuliani, del quale condividerà la morte violenta in una manifestazione del 2002 in Svizzera.

Proprio l’uccisione di Giuliani e le brutalità commesse dagli agenti di polizia durante il G8 di Genova sono rievocate dal film come il momento traumatico con cui ha dovuto e deve fare i conti un’intera generazione. «Se l’uccisione di Aldo Moro», afferma D’Amato, «è stata l’inizio della crisi per la generazione di mio padre, per me e per quelli che fanno il mio percorso lo è stato la morte di Carlo Giuliani. Quel tipo di repressione lì, la “macelleria messicana”, come loro stessi l’hanno chiamata, ha frantumato il movimento, sono partite lotte interne, i violenti e i nonviolenti si sono accusati tra loro, e quelli che condividevano le stesse istanze di cambiamento sono tornati a casa, chi spaventato perché a Genova c’era stato, chi perché si era convinto che non si potesse fare niente».

Tutto questo nel film è espresso attraverso uno stile inquieto ed efficace, che usa formati e materiali eterogenei, dove abbondano le immagini di repertorio di diversa provenienza. «Mi sono detta di essere un’osservatrice», spiega la regista, «e per me l’osservazione al cinema è completamente orizzontale. Mi sono messa allo stesso livello delle persone che raccontavo, e le ho guardate, senza voler dare risposte. Sono state scelte volutamente immagini di repertorio di qualità non alta, perché il punto di vista è proprio il mio, mentre guardo magari dei video su YouTube».