Al di là delle montagne

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Amici d’infanzia, Liangzi, modesto minatore attaccato alla tradizione, e Zhang, aggressivo affarista con il mito del capitalismo occidentale e della cultura pop, sono entrambi innamorati di Tao, la ragazza più bella di Fenyang. Costretta a scegliere tra i due, Tao sposa il ricco Zhang. La coppia ha un figlio, ma poi il matrimonio si sfalda. Zhang abbandona Tao e Fenyang portando con sé il bambino al quale intende offrire un futuro di ricchezza, prima a Shangai, poi in Australia. 

Le conseguenze dei rapidi e netti cambiamenti economici sulla vita delle persone, sulle loro relazioni amorose e familiari, sull’identità personale e nazionale. L’impatto della crescita sulla geografia fisica, umana e sociale della Cina contemporanea. La difficoltà di adattarsi alle inevitabili mutazioni, il vuoto morale e culturale in cui galleggiano i nuovi cinesi, naufraghi nel mare dell’incertezza. Sono questi i temi intorno ai quali ruota il cinema di Jia Zhangke, regista indipendente della Sesta Generazione, ma ormai “conciliato” con la produzione ufficiale e la censura, che invita a riscoprire il passato e le proprie radici per disegnare un futuro che non calpesti il prezioso legame con le origini. Tre capitoli ambientati nel 1999, nel 2014 e nel 2025, tre formati diversi (classico, panoramico e scope), due generazioni e due continenti per raccontare sogni, disillusioni e speranze di una famiglia immersa in un contesto sociale in rapida trasformazione, per mostrare lo strappo di costumi e tradizioni, persino di abitudini alimentari, frutto di una rivoluzione economica e non più culturale in un paese dove il verde dei dollari ha sostituito il rosso del libretto di Mao. Il primato del denaro ha inevitabilmente sconvolto un modello di vita, causando la perdita di identità, di memoria e della stessa lingua madre.

Go West, la celebre e profetica canzone dei Pet Shop Boys che apre e chiude il film, e che ha preso il posto delle canzoni di regime, sintetizza l’energia e la gioia di un’epoca, ed è il primo segnale che l’orizzonte della nuova Cina spazia altrove, verso nuove frontiere e una terra promessa dall’altra parte del mondo, le cui menzogne a un passo dal terzo Millennio sono ancora inimmaginabili per chi ha vent’anni. Guardare all’Ovest diventa allora una liberazione, ma al tempo stesso un imperativo. Un invito a una dolorosa diaspora alla ricerca di una vita serena, cielo blu e sole d’inverno, come prometteva il gruppo pop negli anni Novanta. Un miraggio svanito insieme ai sogni di chi voleva andare via, a tutti i costi.