«LA MIA TANGENTOPOLI »: STEFANO ACCORSI RACCONTA LA SERIE TV “1992”

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Stefano Accorsi racconta a Ciak la nuova serie tv 1992, di cui è ideatore e protagonista. Dieci puntate su Tangentopoli e l’Italia corrotta e rampante di ieri e oggi, dal 24 marzo su Sky. E poi i suoi lavori teatrali, il nuovo film Italian Race sulle corse d’auto Gran Turismo che vedremo il prossimo autunno e il suo nuovo progetto da regista

DI LUCA BARNABÉ

Stefano Accorsi alla presentazione di 1992 al Festival di Berlino
Stefano Accorsi alla presentazione di 1992 al Festival di Berlino

Dopo la Roma noir di Romanzo criminale e la Scampia tragica di Gomorra, ecco la Milano di Tangentopoli al centro dell’ottima serie tv 1992, presentata al Festival di Berlino e dal 24 marzo su Sky (Sky AtlanticHD e Sky Cinema1HD).
Le dieci puntate ripercorrono la fine della Prima Repubblica attraverso l’inchiesta “Mani Pulite”, il pool di magistrati milanesi (Di Pietro, Borrelli, Colombo, Davigo) che seguirono le indagini, oltre a una serie di sei personaggi di finzione, ma verosimili, che interagiscono con i veri protagonisti di allora, interpretati da attori capaci di non cadere mai nella caricatura della realtà.
Ne parliamo con l’ideatore e protagonista Stefano Accorsi, attualmente impegnato anche in teatro con DECAMERONE, vizi, virtù, passioni ispirato a Boccaccio e diretto da Marco Baliani. Mentre conversiamo al telefono si sente in sottofondo il vociare dei suoi figli (avuti dalla ex compagna Laetitia Casta, nda). L’attore interrompe l’intervista un paio di volte per qualche istante. Reclamato dai bambini per giocare, risponde che lo aspettino ancora un po’.

1992 nasce da una sua idea, me ne racconta la genesi e la gestazione?
L’idea è nata circa quattro anni fa. Mi era venuta la curiosità di vedere e di capire qualcosa di più delle stanze del potere italiano, a cui difficilmente si riesce ad accedere. Una curiosità che ho sempre avuto: capire cosa succede “prima” e “dopo” le dichiarazioni dei politici. Ho pensato che per raccontare quel tipo di mondo si potevano creare personaggi di fantasia a contatto con “personaggi storici”, i veri protagonisti di quel periodo. Questo aspetto poteva consentirci una “libertà di movimento” e di racconto, senza che per forza dovessimo attenerci a tutto ciò che è accaduto e documentato. Mi interessava raccontare l’Italia degli ultimi vent’anni, così come l’Italia che in questi anni “ce l’ha fatta”, quella che si è potuta ritenere soddisfatta del cambiamento epocale del ’92.

Poi?
A quel punto ne ho parlato con i produttori Lorenzo Mieli e Mario Gianani e insieme abbiamo incontrato Andrea Scrosati di Sky. L’idea è piaciuta e abbiamo cominciato allora a svilupparla con gli sceneggiatori e creatori della serie Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo e Alessandro Fabbri che hanno avuto l’intuizione potente di raccontare l’anno chiave: il 1992. A dirigerla è stato scelto un regista giovane e capace come Giuseppe Gagliardi (Tatanka).

A proposito della fase di studio e di documentazione: ci sono stati incontri con i veri protagonisti dell’epoca come i magistrati del pool?
Gli sceneggiatori hanno raccolto una documentazione monumentale e svolto un lavoro preparatorio incredibile: atti di processi, articoli di giornale, ogni possibile materiale di repertorio accessibile. E poi, certo, ci sono state anche decine e decine d’incontri con i reali protagonisti dell’epoca, dunque magistrati, giornalisti, politici. Il tutto era anche seguito “legalmente” da esperti e avvocati che si occupavano che la mescolanza di falso e vero non risultasse mai diffamatoria, essendo ancora vivente la maggior parte dei protagonisti della vicenda narrata.

L’incontro con un personaggio reale di quegli anni per lei decisivo?
Posso dirle una persona che è stata importante per me… Premetto che Leonardo Notte è un personaggio di fantasia, manager quarantenne che lavora come freelance di Publitalia a Milano ed è un ex giovane di sinistra che aveva partecipato ai movimenti del ’77 a Bologna. Ho fatto una bella chiacchierata telefonica con Roberto “Freak” Antoni (leader della band punk rock demenziale degli Skiantos e artista performativo scomparso lo scorso anno, nda). Con lui c’è stata solo quella telefonata, ma molto utile per ascoltare racconti su persone come Notte, che dai movimenti bolognesi arrivarono al rampantismo e alla Milano da bere degli anni Ottanta e a seguire fino a quella degli anni Novanta. Un percorso che all’epoca era ed è stato possibile: passare dai movimenti e dalle università più all’avanguardia fino alla pubblicità. Queste persone hanno fatto tesoro delle loro ottime conoscenze dei mass media e della loro creatività libera per esprimersi senza regole, però proprio nell’area commerciale e di vendita!

Stefano Accorsi e Miriam Leone al Festival di Berlino
Stefano Accorsi e Miriam Leone al Festival di Berlino

La serie si apre il 17 febbraio 1992, con l’arresto di Mario Chiesa. Chiesa è stato poi condannato definitivamente a 5 anni e 4 mesi. Ora però i suoi legali vi chiedono di eliminare la sequenza della mazzetta nel cesso del Pio Albergo Trivulzio, peraltro confessata dallo stesso Chiesa proprio a Di Pietro. Avete già deciso come vi comporterete?
Questa è veramente una fase in cui gli avvocati parleranno con gli avvocati. L’unica cosa che posso ripetere è che c’è stato un lavoro di documentazione mastodontico e molto accurato, quindi vedremo che cosa sarà stabilito dai legali. Ma già prima delle riprese ogni dettaglio è stato studiato per evitare falsi diffamatori. Non si tratta di un documentario, certo, ma la ricerca e l’accuratezza per questa serie è stata estrema in tutto, sia sul piano della documentazione sui fatti accaduti, sia sul piano estetico: scene, costumi, ricostruzione di un sentire e di un piano visivo coerente e preciso.

Il personaggio del manager Notte lo ha scelto per sé fin dal principio?
No, l’hanno pensato gli sceneggiatori. Appena me l’hanno proposto però l’ho trovato bellissimo. In fase di scrittura e di riprese l’ho visto crescere e diventare “vivo”, complesso e sempre più interessante da interpretare. Abbiamo cambiato alcuni elementi anche all’ultimora e il personaggio ne ha tratto giovamento.

Diversi suoi monologhi come quello sulla crisi come “opportunità” sembrano pronunciati da un manager o da un pubblicitario di oggi.
Fino a poco fa parlavamo sempre del parallelo tra la crisi di allora e quella di oggi. Nel ’92 c’era più speranza. Questo fino a qualche anno fa, oggi pare che un barlume di qualcosa che si muove ci sia davvero e credo sia anche importante aggrapparcisi. Il mio personaggio è sicuramente uno che cerca di vedere sempre le opportunità nelle cose e nelle situazioni che si trova di fronte. Il suo è sicuramente un punto di vista esaltante in un certo senso. Il suo discorso sulla crisi è molto logico e ha una sua coerenza: se si riesce ogni volta che c’è un problema, ad analizzarlo anche dal punto di vista delle opportunità, credo che qualunque manager potrebbe sposare questo tipo di filosofia.

Ne ha incrociati molti nella sua vita di Leonardo Notte? A Milano si incontrano piuttosto spesso…
Qualche volta mi è capitato (ride, nda). Però diciamo che per il “mio” Leonardo Notte ho un tipo di amore speciale, che raramente ho avuto per gli altri Leonardo Notte che ho incontrato nella vita!

I rischi di una serie ambiziosa come questa, sulla carta, potevano essere: retorica, didascalismi e problemi di ritmo. Come siete riusciti a evitarli?
Il fatto di volere andare al di là dell’ideologia è stato sicuramente un primo passo. Ci interessava davvero guardare quell’universo complesso in cui si sviluppano varie “trame”, protagonisti e filoni diversi dell’epoca: Mani Pulite, Publitalia, la Lega Nord. Ci premeva osservare e mettere a fuoco quell’universo cercando il più possibile di non avere filtri preconcetti, che avrebbero reso tutto retorico o anche peggio, perché non c’è niente di peggio, quando si racconta una storia, di restare fuori dalla porta del racconto. E poi anche il trattare per esempio i fatti storici in un modo quasi epico: è vero che abbiamo un personaggio Antonio Di Pietro che si chiama e agisce come quello reale, è vero anche che ogni dettaglio è documentato e realistico, ma tutto è stato anche “cinematografizzato” nello stile. Non volevamo fare una serie documentaristica né tantomeno agiografica, il nostro riferimento è il cinema. Il merito principale di questo va riconosciuto agli sceneggiatori che sono stati anche i nostri produttori creativi.

Gli sceneggiatori Stefano Sardo, Ludovica Rampoldi e Alessandro Fabbri, Miriam Leone, Stefano Accorsi e il registaHo l’impressione che la serie si rivolga anche, se non soprattutto, alle nuove generazioni. È così? È un problema che vi siete posti?
Temevamo un po’ l’“italianità” della serie, ma il fatto che esca in contemporanea anche in Inghilterra, Germania, Irlanda e Austria, e i riscontri positivi avuti alla presentazione al Festival di Berlino, lasciano ben sperare e fanno pensare che anche chi non ha vissuto in diretta quegli eventi – per ragioni geografiche o anagrafiche – possa capirli. Sicuramente il linguaggio di tante serie recenti e di tanto cinema contemporaneo ha nutrito sceneggiatori, attori e regista. Forse l’unico problema che, ogni tanto, ci siamo posti in maniera esplicita era quello della comprensibilità dei fatti storici magari meno noti alle nuove generazioni. Ecco perché, a volte, ci è parso necessario contestualizzare bene certe vicende, senza per questo salire in cattedra per una lezione di Storia, ma avendo sempre a mente il linguaggio cinematografico. Certo, non volevamo un racconto di nicchia, rivolto alla generazione che quei fatti li ha “vissuti” e conosciuti in diretta.

Il cantautore politico inglese Billy Bragg sostiene che «una canzone non può cambiare il mondo, ma risvegliare qualche coscienza sì. ». Mi chiedo se un’ambizione di 1992 sia anche quella di risvegliare qualche coscienza.
Sono molto d’accordo con questa frase. A teatro come al cinema, quando sono spettatore, quello che mi piace, è tornare a casa portando dentro di me qualcosa che può migliorarmi. Noi però non ci siamo posti il problema di smuovere le coscienze, non abbiamo voluto fare una serie moralistica. La prima cosa è proprio non porsi mai come professori che detengono ex cathedra la verità assoluta, bensì andare a impegnarsi all’interno della materia narrata. È chiaro che c’è sempre uno sguardo e un punto di vista soggettivo sul mondo, la neutralità non esiste, però il tono didascalico va evitato sempre. Certo, mi auguro che 1992 possa anche accendere qualche coscienza e risvegliare il pensiero.

Ora è in teatro con DECAMERONE, vizi, virtù, passioni di Marco Baliani (in tournée fino a metà aprile, nda), ispirato a Boccaccio. Anche lì diversi suoi monologhi paiono scritti oggi, penso a: «Giorno non passa che novello scandalo scalza lo precedente… ».
DECAMERONE, vizi, virtù, passioni fa parte di una nostra trilogia teatrale. Il primo capitolo era stato L’Orlando furioso dall’Ariosto e il prossimo sarà un lavoro su Macchiavelli. Il filo rosso che lega queste tre opere teatrali è per noi l’individuo, al centro delle storie, e il suo modo di rapportarsi alla società. Un paio d’anni fa, dopo L’Orlando furioso, Baliani ha pensato di adattare Boccaccio. L’idea era proprio quella di creare un parallelo tra la peste nera del 1350 a Firenze e la “peste morale” di oggi. Questi dieci ragazzi, sette femmine e tre maschi, si raccontano dunque delle storie per sopravvivere alla peste, e soprattutto per continuare a vivere. Ci piaceva l’idea che in un teatro noi raccontassimo al pubblico delle novelle per sfuggire alla pestilenza morale, ma non lo facciamo, come non lo faceva il Boccaccio, per “evadere”, o per distrarsi. In realtà dietro a ogni novella del Decamerone c’è sempre una suggestione, un consiglio e una sagacia che ci fa riflettere innanzitutto su noi stessi. Una cosa bellissima del Decamerone è che non ci dice “guardate come siete”, ma “guardate come siamo”. Le grandi opere classiche sono più che moderne, sono eterne. Abbiamo semplificato la costruzione delle frasi e della lingua, utilizzando però le bellissime parole del Boccaccio. È un po’ uno spettacolo fuori dal tempo, anche con molteplici riferimenti all’oggi.

Diceva che il terzo capitolo sarà tratto dal Macchiavelli?
Sì, la terza tappa di questa trilogia teatrale sarà un lavoro su Macchiavelli, in particolare sul Principe, ma non solo, anche su altri suoi scritti come La Mandragola e sulla sua vita.

Curioso che proprio La Mandragola sia stato scritto e ambientato a Imola, dove lei ha da poco girato il suo nuovo film Italian Race di Matteo Rovere e dove suo padre giocava a basket nella locale Virtus Pallacanestro!
In effetti è curioso (ride, nda)! L’Emilia Romagna è terra di motori e di basket! Nonostante mio padre sia stato un cestista, io non ho mai praticato la pallacanestro in maniera seria, da ragazzino facevo judo.

Stefano Accorsi trasformato nel film Italian RaceMi racconta Italian Race?
È stato un film estremamente coinvolgente anche per l’impegno fisico (il regista ha richiesto che perdessi vari chili). La preparazione drammaturgica del personaggio è stata davvero impegnativa. Loris De Martino è un ex pilota che si è perso nelle droghe e in una vita sregolata, uno di quei personaggi che è raro trovare nel proprio percorso professionale. Si tratta di un copione che ha come struttura portante il campionato di auto GT, che abbiamo seguito costantemente dal vero. Molte immagini che compariranno nel film sono quelle delle vere gare Gran Turismo. Molte scene le abbiamo girate proprio a Imola al circuito Enzo e Dino Ferrari, altre in centro come l’inseguimento tra due Harley Davidson e un’auto. L’esordiente Matilda De Angelis interpreta mia sorella, una pilota minorenne. Il nostro meccanico è Paolo Graziosi con lo stuzzicadenti sempre in bocca. Tutti quelli dell’ambiente ci dicevano: «Sembra vero! Sembra il mio meccanico, quello che mi ha insegnato tutto dei motori, delle gare, della vita! ». Questa squadra di persone fragili comincia a risalire la china. Credo che Matteo Rovere abbia realizzato un film profondamente ispirato.

Ha dovuto imparare a pilotare? Ha scene di stunt?
Sì perché siamo stati in circuito molte volte, con varie macchine e vari istruttori. Alla fine c’è una corsa illegale di macchine, una gara clandestina, a cui partecipo con una bellissima vecchia Peugeot 205 Turbo 16, che è una macchina da rally storica del Gruppo B. Avevo un grande maestro: Paolo Andreucci – otto volte campione di rally – che mi ha insegnato a pilotare. Un’altra cosa molto bella è che la sequenza della gara clandestina l’abbiamo girata ai Sassi di Matera. È un film davvero “inaspettato” fatto di tante gare, girate bene, filmate da tanti punti di vista e angolazioni.

Più o meno quando si vedrà nelle sale?
Direi non prima dell’autunno prossimo, settembre o ottobre.

Nel 2013 ha esordito alla regia con il cortometraggio Io non ti conosco. Ha nuovi progetti da regista?
Dopo Io non ti conosco ho realizzato altri tre corti per Peugeot, passati su Sky e ora visibili sul Web, una sorta di piccola trilogia del viaggio. Ora sto scrivendo un lungometraggio perché l’esperienza di regia mi ha appassionato molto. Ho individuato una storia vera molto cinematografica e ora la sto sviluppando in forma di sceneggiatura con il mio cosceneggiatore Ugo Chiti.

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