CIAK IN MOSTRA: BEHEMOTH, IL DOCUMENTARIO FIRMATO DA ZHAO LIANG DATO COME FAVORITO PER IL LEONE D’ORO
Il cineasta cinese, durante la conferenza stampa veneziana, ha presentato Behemoth, documentario incentrato sulla riflessione amara data dal progresso e ultimo film in gara già dato come favorito per il Leone d’Oro.
Ultimo giorno di Festival e tempo di tirare le somme. Se fino ad oggi il titolo favorito per portarsi a casa il Leone d’Oro era conteso tra Rabin, The Last Days di Amos Gitai e 11 Minutes di Jerzy Skolimowski, Behemoth, il documentario del regista cinese Zhao Liang spazza via tutte le ipotesi avallate in questi giorni di concorso e si piazza in testa come pellicola favorita. Realizzato grazie ad una co-produzione francese, l’opera di Zhao Lang racconta l’insensatezza del progresso cieco e vertiginoso dello sviluppo urbano nelle regioni a confine tra Cina e Mongolia, filmando la vita disumana dei lavoratori di miniere di carbone che muoiono a migliaia nella più totale indifferenza del governo. «Questo film è nato grazie ad una coproduzione francese. Non ho chiesto autorizzazioni al Governo cinese dato che si tratta di un prodotto indipendente. Ovviamente se in futuro vorremmo proiettarlo in Cina, a quel punto sarà necessario chiedere i permessi. Nella platea dei giornalisti ne vedo solo uno cinese che è stato così coraggioso da venire qui andando contro gli inviti a non partecipare alla conferenza stampa. Credo però che si tratti di un fraintendimento. Nessuno in Cina ha visto il mio documentario, quindi il loro no è un rifiuto a priori. » Esordisce così Zhao Liang durante la conferenza stampa veneziana di presentazione del documentario, testimoniando di come il suo lavoro sia visto con sospetto dal Governo cinese proprio in virtù di quella critica ad un sistema che sembra aver perso di vista l’uomo e l’ambiente.
Diviso in tre sezioni cromatiche, rossa, gialla e blu, Behemoth, il cui titolo fa riferimento ad una bestia della mitologia che si ciba delle colline in fiore – proprio come le ruspe e le trivelle che trasfigurano il paesaggio cinese – si rifà all’opera dantesca, raccontando un Inferno, un Purgatorio e un Paradiso, dove non c’è però salvezza, bensì una negazione di pace e riposo. «Il collegamento all’opera di Dante è un caso. Quando andavo nelle zone filmate per i sopralluoghi, mi sembrava di essere all’Inferno. Dopo aver mostrato il materiale girato ai produttori mi hanno tutti consigliato di leggere la Divina Commedia. Una volta finita la lettura mi sono reso conto di come, nonostante fosse un’opera del 1300, la sua storia fosse attuale rispetto al mondo del lavoro che stavo raccontando » ha affermato il regista a chi gli chiedeva come fosse riuscito a coniugare l’opera di un’altra cultura e di un’altra epoca al suo documentario. Se Behemoth racconta il fallimento della civiltà moderna che pensa solo ad accumulare ricchezze mentre l’uomo è lasciato a sé stesso, è anche vero che il regista racconta una storia particolare, quella tragica dei minatori e di una terra lontanissima da noi, che si fa universale poiché quello che accade in quelle cave – l’estrazione del carbone – ha poi una ripercussione nell’economia mondiale e in questi giorni nei quali si è tanto parlato della Bolla cinese, il lavoro di Liang acquista una valenza ancora più significativa. «All’inizio non avevo intenzione di riferirmi all’economia mondiale ma l’ambiente che ci circonda è molto importante. Vivo a Pechino e tutti sappiamo che tipo di aria si respiri lì. L’ambiente che ci circonda ci influenza e definisce. Il mio non è un film fatto solo per la Cina ma per tutti, per far riflettere sul nostro modo di vivere. »
Tra gallerie sotterranee, esplosioni, perforazioni del territorio e città futuristiche fantasma, che danno bene il senso dell’assurdità di quelle morti sul lavoro e di quelle condizioni di vita umilianti, il lavoro del cineasta cinese è stato costellato di difficoltà pratiche che l’hanno portato a confrontarsi con realtà distanti e complesse alle quali ha saputo far fronte. «Sono un regista indipendente. Conosco bene il mio ambiente culturale e so gestire situazioni come questa. La difficoltà maggiore è stata convincere i proprietari di queste cave a darmi il permesso per entrare e filmare. Abbiamo indubbiamente avuto a che fare con dei pericoli. Siamo stati bloccati e hanno cercato di cancellare le nostre riprese ma ho cercato di essere molto prudente ». Nonostante la brutalità del tema, Behemoth, è costellato di immagini esteticamente perfette, proprio in contrasto con la natura fagocitante del progresso. Aspettando di scoprire se sarà proprio l’opera del regista cinese a portarsi a casa il Leone d’Oro della 72ª Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia, il documentario ha intanto vinto il Green Drop Award come pellicola che meglio interpreta i valori della sostenibilità ambientale. «L’ambiente riguarda ognuno di noi. Se chi guarda il mio film ha una reazione o si trova a riflettere allora Behemoth ha una sua ragione di essere già così. »