CARTOLINE DA PESARO: 3 SCOPERTE DA RECUPERARE

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Dalla 52ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro possiamo segnalare almeno tre proposte cinematografiche che ci hanno particolarmente colpito. Nel concorso spicca l’assoluta compiutezza e maturità di una sorprendente opera prima, made in China: Kaili Blues, scritto e diretto da Bi Gan, straordinaria composizione di realismo poetico e sorvegliata audacia stilistico-narrativa. Di scena vi è un dottore che opera in un fatiscente sobborgo di una città nella zona subtropicale di Guizhou. Pietoso e riservato, Chen Sheng (questo il suo nome) nasconde anche un triste passato in carcere e un divorzio, ma la sua disponibilità nei confronti del prossimo è assoluta. Tanto che si prende a cuore le sorti del nipote e quando il fratello sciagurato se ne libera affidandolo/vendendolo a qualcuno nella contea di Zhenyuan, si mette in viaggio alla sua ricerca. Prima di partire, l’anziana collega gli consegna una cassetta musicale e una fotografia da consegnare a quello che era il suo perduto amore di gioventù che vive laggiù. Il viaggio trasformerà quello che sembrava un ritratto crudo da cinema drammatico in un trip onirico. Nella cittadina di Dangmai, personaggio e macchina da presa si passano la staffetta in un unico piano sequenza magico di 41 minuti (!!) in cui vari personaggi si alternano (c’è anche un delizioso complessino di principianti musicisti pop capaci di strimpellare praticamente un solo brano); passato, presente e futuro si fondono e confondono, creando così una atmosfera sospesa e surreale (e le poesie declamate fuori campo, opera dello stesso regista, danno il loro contributo di straniamento). Un’operazione cinematografica tanto ambiziosa e difficile da costruire ma dalla resa emozionante, tale da entusiasmare anche cineasti doc come Jonathan Demme.

Sapete qual è il più curioso omaggio a Prince mai realizzato sinora? Per noi Rain the color of Blue with a Little Red in It, remake di Purple Rain (davvero!) girato nella zona subdesertica del Sahel, primo film interamente in lingua tuareg (infatti occhio al titolo: non esiste tra loro un termine preciso per tradurre “purple” e così….). La regia è di un un americano di Portland, Christopher Kirkley, che è anche musicologo e dj (infatti una certa scaltrezza “occidentalizzante” nel racconto si nota e questo farà storcere il naso ai puristi del cinema terzomondista ma tant’è). In compenso il protagonista nonché autore delle musiche è straordinario, si chiama Mdou Moctar, ha il viso che pare scolpito dal vento del Sahara e suona la chitarra come un dio del blues elettrico!

Per finire, la “scoperta” – se così si può dire – di un grande del cinema d’animazione Made in Italy. Virgilio Villoresi, toscano classe 1979, si definisce un “artigiano del cinema”, ma con il semplice uso della tecnica della stop-motion ha raggiunto in 10 anni di attività livelli altissimi, di assoluta originalità e autorialità. A Pesaro abbiamo visto gran parte della sua produzione (brevi lavori pubblicitari per firme dell’alta moda, clip musicali per autori eccentrici-soprattutto per Capossela-, short e sigle), un corpo di opere dal 2006 a oggi caratterizzato dal rifiuto di effetti speciali computerizzati o in post-produzione e una predilezione per il riuso dei trucchi del pre-cinema (rotoscopi, ombro-cinema, flip-book) o i giocattoli meccanici del tempo antico. Realizzazioni squisite, di gusto quasi arcano e surreale, quasi da pura avant-pop, intelligentemente coordinate con una colonna sonora mai banale o appiccicaticcia (anzi, al contrario, fondamentale nella sua ricercata accuratezza). Un autore vero e di assoluto spessore artistico-culturale, come attesta anche tra l’altro la sigla di apertura di questa edizione della mostra, costruita sulla musica di Rossini e omaggiando con citazioni alcune opere del più libero cinema d’avanguardia della storia (da Maya Deren a Cocteau, da Bunuel a Rybczynski).