Detour Film Festival di Padova, percorsi tra cinema e viaggio

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Tra tutti i festival cinematografici a tema, che si propongono cioè di indagare il rapporto tra i film e uno specifico argomento, ce n’è uno particolarmente intrigante e suggestivo, impegnato da sei anni a esplorare il legame speciale che da sempre unisce la settima arte e il viaggio. Diretto con passione dal regista Marco Segato (La pelle dell’orso), presieduto dal produttore Francesco Bonsembiante, organizzato dall’associazione Cinerama, il Detour Film Festival di Padova propone una serie di film inediti, eventi speciali, laboratori, spettacoli e incontri con gli autori. Sei i titoli in competizione giudicati quest’anno dall’attrice Valentina Lodovini e dai registi Andrea De Sica e Marco Danieli, mentre i film italiani dedicati al viaggio sono raccolti nella sezione Viaggio in Italia e valutati da una giuria composta da una selezione di studenti del master in sceneggiatura Carlo Mazzacurati. Il premio “Padova incontra il Cinema” è andato quest’anno a Gianni Amelio che al Palazzo della Ragione, in collaborazione con Fiera delle Parole, ha presentato il suo primo romanzo, Politeama.

“Ogni film è un viaggio per chi lo realizza, ma anche per il pubblico, trasportato in luoghi lontani e sconosciuti, a volte meravigliosi e a volte ostili, rimanendo comunque al sicuro in una sala cinematografica”, ha detto il regista norvegese Arild Andresen, Premio Speciale della Giuria per il suo struggente Handle With Care, storia di un insolito viaggio di formazione destinato a cambiare la vita di un adulto e un bambino. Insieme all’amatissima Camille, Kjetil ha adottato un bambino colombiano, Daniel, ma quando dopo tre anni la moglie muore in un incidente stradale, l’uomo disperato per la perdita, si scopre totalmente incapace di essere un padre decente per quel figlio che ora sente come estraneo. Decide allora di partire con lui per Bogotà, alla ricerca delle radici del piccolo, ma anche di sua madre biologica, nella malcelata speranza che la donna voglia indietro suo figlio. O forse per trovare qualcosa al quale non riesce ancora a dare un nome. Ma seppure aiutato da un tassista locale e dalla direttrice dell’orfanotrofio che aveva accolto Daniel, Kjetil si accorge che rintracciare la donna è come cercare un ago nel pagliaio. Alcuni piccoli ma significativi eventi guideranno il protagonista attraverso una profonda trasformazione interiore che lo renderà finalmente un padre. Evitando facili trappole drammaturgiche e affrontando con sguardo lucido il rapporto non sempre facile tra genitori adottivi e bambini adottati, il regista riflette su cosa voglia dire davvero essere un genitore, al di là dei legami di sangue, e sulla differenza tra “padre”, che rimanda alla formalità del ruolo, e “papà”, che invece implica un coinvolgimento emotivo e affettivo.

Il premio speciale della regia e quello del pubblico sono andati invece a China’s Van Goghs di Yu Haibo e Yu Tianqi Kiki su un contadino che divenuto pittore e impegnato a realizzare a ritmi incessanti riproduzioni esatte di quadri di Van Gogh, decide si scoprire il cuore pulsante dell’opera dell’artista e di trovare l’anima più autentica del proprio lavoro.

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