“LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT”: UN SUPEREROE PASOLINIANO

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Il regista Gabriele Mainetti e gli interpreti Claudio Santamaria, Luca Marinelli e Ilenia Pastorelli hanno presentato a Roma Lo Chiamavano Jeeg Robot, in sala dal 25 febbraio grazie alla Lucky Red

Nicola Guaglianone, Luca Marinelli, Gabriele Mainetti, Piera Detassis, Claudio Santamaria, Ilenia Pastorelli, Roberto Menotti
Nicola Guaglianone, Luca Marinelli, Gabriele Mainetti, Piera Detassis, Claudio Santamaria, Ilenia Pastorelli, Roberto Menotti
durante la conferenza stampa

Aveva già convinto pubblico e critica della Festa del Cinema di Roma, lo scorso ottobre, quando era stato presentato, in selezione ufficiale, durante la decima edizione della manifestazione e ora, Lo chiamavano Jeeg Robot, debutto al lungometraggio di Gabriele Mainetti (già regista dei corti Basette e Tiger Boy), è pronto per arrivare in sala, il prossimo 25 febbraio, grazie alla Lucky Red. Una creatura filmica originale, divertente, tragica, dolce e realmente unica a guardare al nostro cinema. Un ibrido tra i personaggi tragici che ricordano Pasolini e l’universo supereroico che guarda alla tradizione fumettistica del Sol Levante, nello specifico all’anime firmato da Go Nagai. «Siamo della generazione Bim Bum Bam che ci ha fatto da balia e da lì abbiamo ripescato quello che ci faceva emozionare di più » racconta Mainetti durante la conferenza stampa, al quale di riallaccia uno degli sceneggiatori del film, Nicola Guaglianone, che sottolinea proprio la doppia natura che caratterizza la pellicola, sin dal suo titolo che: «unisce i due universi distanti che hanno dato vita al film. Da un lato il cinema italiano, dal neorealismo alla cinematografia di genere, dall’altro la contaminazione giapponese con l’elemento pop fuori contesto ».

Luca Marinelli
Luca Marinelli in una scena di “Lo chiamavano Jeeg Robot”

Lo chiamavano Jeeg Robot è la storia di un supereore per caso, Enzo Ceccotti, ladruncolo di periferia con il volto di Claudio Santamaria«Quando ho letto la sceneggiatura sono impazzito » -, che per il ruolo ha preso venti chili, così da rendere più credibile la natura psicologica del suo personaggio. «Gabriele voleva che il mio personaggio fosse come un orso. Dovevo trasformarmi in un essere fermo, pesante, lavorando anche sul modo di parlare, molto sintetico, che riflettesse il modo negativo in cui percepisce se stesso » racconta l’attore romano. Sua nemesi è Zingaro, interpretato dall’incredibile Luca Marinalli, piccolo boss glam rock della malavita romana con spiccate aspirazioni criminali ed una passione travolgente per le voci femminili della musica pop italiana degli anni ’80. «Dovevamo trovare la sua espressività », racconta l’attore recentemente ammirato in Non Essere Cattivo, «Abbiamo visto un video di Anna Oxa a Sanremo con dei capelli meravigliosi e un trucco alla David Bowie e abbiamo trovato la chiave giusta ».

lenia Pastorelli
lenia Pastorelli in una scena di “Lo chiamavano Jerg Robot”

E come in ogni storia di supereroi che si rispetti, l’eroe è chiamato alla sua “missione” da un elemento o da un sentimento scatenante che il questo caso ha le sembianze di Alessia, ingenua e fragile bambina in un corpo di donna, interpretata da Ilenia Pastorelli«Il mio ex agente non credeva ce l’avrei fatta », racconta l’ex gieffina, «Durante il primo provino non riuscii a piangere ma, su suggerimento di mia madre, ho usato il “metodo mutuo”, pensavo alle varie rate o alle bollette e piangevo. Altro che Stanislaskij! ». Quello che può essere definito il primo cinecomic italiano, dopo il tentativo de Il Ragazzo Invisibile di Gabriele Salvatores, è però anche un film fortemente ancorato al reale, con riferimenti al terrorismo e alla crisi che ricorrono durante tutta la visione, perché: «Era importante che il film parlasse di questioni reali per fare presa sulle emozioni umane, per essere capito anche altrove rispetto alla periferia romana dove è ambientato » racconta lo sceneggiatore Roberto Menotti. Lo chiamavano Jeeg Robot, poi, racconta anche un percorso personale che vede il protagonista lottare contro quella parte di sé da sempre individualista, restia all’empatia, trincerata dietro una corazza costruita per sopravvivere nel contesto nel quale era immerso. «Il supereroe nasce nell’inquadratura finale alla quale precede un processo catartico del protagonista », racconta il regista, «Volevo creare personaggi veri inseriti in un contesto assurdo ».

Manuela Santacatterina

 

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