Lucrezia Guidone in “La ragazza nella nebbia”: «Ecco come sono diventata la moglie del mostro»

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La moglie del “mostro”, quello accusato di aver fatto sparire una ragazzina, crocifisso dai media e dall’opinione pubblica: è il ruolo delicatissimo di Lucrezia Guidoni nel film La ragazza nella nebbia, l’esordio alla regia dello scrittore Donato Carrisi tratto dal suo omonimo romanzo, al cinema dal 26 ottobre. Lucrezia, 31 anni, è una rivelazione recente per il cinema: nella sua carriera solo due titoli di fiction, l’emozionante ritratto di famiglia Noi 4 di Francesco Bruni e Dove cadono le ombre di Valentina Pedicini, presentato alla scorsa Mostra di Venezia. A teatro, invece, ha un’esperienza consolidata dai grandi maestri: ha lavorato anni con Luca Ronconi e nel 2012 ha vinto il Premio Ubu come “Miglior attore o attrice under 30”. In questi giorni è in tournée con La signorina Else di Schnitzler diretta da Federico Tiezzi, col quale la prossima stagione lavorerà anche all’ Antigone al Teatro Argentina a Roma. E presto la vedremo anche su Rai Due nella seconda stagione di Non uccidere, nel ruolo dell’ispettore di polizia Valeria Ferro.

Chi è Clea, il suo personaggio in La ragazza nella nebbia?

È la moglie del professore Alessio Boni, accusato della sparizione della sedicenne Anna Lou. Hanno una figlia di 14 anni, quindi mi sono trovata per la prima volta a interpretare sullo schermo una madre. Clea è un avvocato che ha lasciato la sua vita per seguire il marito in quel paesino sperduto tra i monti, nel tentativo di ricostruire il loro rapporto, perché c’è qualche fantasma nel loro passato. È un personaggio fatto di equilibri molto sottili, che maschera dietro la dolcezza anche un po’ una frustrazione. E poi diventa la donna che sta a fianco di un uomo indagato per la scomparsa di una ragazzina: sulla sua casa si abbatte una tempesta di proporzioni enormi e questo rimette in discussione tutti gli equilibri che si stavano riassestando nella coppia. Una tragedia pesante con assestamenti inaspettati.

I media ci hanno ormai abituati alla spettacolarizzazione estrema di casi di cronaca simili. Si è ispirata a qualcuno in particolare?

Preparando il film ho cercato di mettere il naso in questa pornografia dell’informazione che dilaga anche in situazioni molto delicate, laddove bisognerebbe avere un rispetto maggiore. Invece è possibile a tutti accedere sui media a conversazioni e dettagli “pornografici” in senso di curiosità morbosa. Non mi sono ispirata nell’imitare dei casi specifici, ma nella sensazione che mi hanno dato. Ho cercato di riportare questo disagio sul set. Donato Carrisi ha seguito veri casi di cronaca, per esempio quello di Sarah Scazzi, e ci ha raccontato moltissimo di come cambia la realtà intorno alla tragedia, soprattutto se la vivi in prima persona. Immaginiamo a cosa possa significare per una donna pensare anche solo per un attimo che il padre dei propri figli è un mostro.

Lucrezia Guidone e Alessio Boni in “La ragazza nella nebbia”

Qual è stato il più grande insegnamento di Ronconi?

Un giorno ci ha detto: “dovete scegliere che tipo di attori volete essere e farvi le domande giuste”. C’è chi cerca di identificarsi sempre e chi di raggiungere qualcosa di diverso da sé. Mi piace inseguire il mio immaginario, mettere distanza tra me e la persona che interpreto. In realtà in questa distanza poi scopro moltissimo di me.

È vero che, quando ha studiato al Lee Strasberg Theatre & Film Institute a New York, ha incontrato mostri sacri come Nicole Kidman e Juliette Binoche?

In realtà ho fatto un corso con Susan Benson, l’acting coach che segue entrambe le attrici, che spesso facevano lezioni private magari nella stanza a fianco. Questo mi ha dato l’idea che anche dive così riconosciute continuino a studiare: ho avuto la sensazione di essere nel posto giusto.

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