“PARADISE”: I DESTINI INCROCIATI NEL TRITACARNE DELLA STORIA

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Il “vegliardo” Andrei Konchalovsky (classe 1937) ha saputo attraversare, in oltre 50 anni di carriera (la prima regia, un corto, è datata 1962), i territori artistici più elevati come quelli più commerciali, ospite più di una volta vittorioso dei festival internazionali (a Venezia vinse nel 2014 il Leone d’Argento per Le notti bianche di un postino e molti anni prima, nel 2002, un Gran Premio Speciale della Giuria per La casa dei matti).

Un tema ritornante nella sua robusta e discontinua filmografia è quello dei destini individuali nel tritacarne della Storia (ricordate Il Proiezionista). Paradise tratta proprio di questo, realizzato con il monito sottinteso «perché nessuno dimentichi quello che è successo». Di scena, tre persone nel gorgo della Seconda Guerra mondiale. Olga (Yuliya Vysotskaya, con il cineasta anche in La casa dei matti, Nel regno del crimine, Gloss, Lo schiaccianoci 3D) è un’aristocratica di origine russa particolarmente partecipe alle sorti dei bambini ebrei; Jules (Philippe Duquesne), poliziotto francese collaborazionista per furberia, è incaricato di indagare su di lei; Helmut (Christian Clauss), ufficiale delle SS invaghito (da tempo) della donna, rinfocolerà infine una relazione che avrà conseguenze altamente drammatiche. Ovviamente il titolo, Paradise, va inteso nella sua accezione più amaramente ironica. Il regista (che sospettiamo abbia letto Le benevole) sta bene attento nel restare nell’ambito del cinema popolare con colpi allo stomaco e al cuore a volte telefonati, in un bianco e nero limpido e arty, ma ogni tanto si concede dei colpi da grande cineasta assoluto, come nei filmati “amatoriali” nella Toscana nel 1933, dove gli allor giovani, ricchi e spensierati Olga e Helmut circondati dagli amici, ballano e “stupideggiano” mentre la colonna sonora commenta con Parlami d’amore Mariù.