“STRADE PERDUTE”: TUTTE LE OMBRE DI DAVID LYNCH

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Rivedendo un film di David Lynch, nello specifico Strade Perdute (in DVD e Blu-ray grazie a CG Entertainment, Mustang e RaroVideo), tornano in mente gli anni accademici, quando i professori (non solo di cinema) facevano esaminare, prendendolo come esempio uno e trino, i vari Velluto Blu, Mulholland Drive, Cuore Selvaggio (anche se per loro, forse complice la presenza di Nic Cage, era fin troppo mainstream) oppure proprio il bellissimo Lost Highway. Sembrava quasi che al di fuori dell’onirico perimetro lynchiano ci fossero pochi suffissi cinematografici degni di essere presi in considerazione: kubrickiano, felliniano, hitchcockiano, godardiano. E lo studente di cinema, sognante di possedere in un futuro impossibile anch’egli un suffisso, era indotto a venerare quell’uomo dal ciuffo bianco, con il vizio del fumo e dalla filmografia relativamente ristretta. Certamente, c’erano anche gli studenti che preferivano altri suffissi (spielberghiano, per fare un esempio), che di fronte agli apparenti no-sense estetici e ridondanti di Lynch, restavano impassibili e pure un filo annoiati.

Eppure, come spesso e volentieri dovrebbe essere, la verità sta nel mezzo e David Lynch, che ha dipinto un trattato (per immagini) sulla psicanalisi e sul doppelgänger concentrato, appunto, in Strade Perdute, è uno degli autori più influenti e complessi. Uscito nel 1997 (in piena Hollywood post-moderna) e scritto insieme a Barry Gifford – con cui ha collaborato anche per Cuore Selvaggio –, Strade Perdute, come molti altri titoli del regista nato nel Montana, non ha un moto narrativo cronologico o lineare, giocando geometricamente e oniricamente con lo spettatore, messo davanti ai principi della psicanalisi freudiana: l’Io, l’Es, il Super Io.

Naturalmente Strade Perdute non è un film semplice e Lynch, che dopo tre anni riprenderà i concetti di incubo, senso del doppio e cinema stesso in Mulholland Drive, fa (letteralmente) girare gli eventi attorno a Fred Madison e a sua moglie Renee, con il volto di Bill Pullman (uno degli attori per eccellenza degli anni ’90) e con quello, a dir poco sexy, pericoloso e disperato di Patricia Arquette. Con la musica a predominare, mischiando (se rapportato al 1997) nuovi modi di intendere l’audiovisivo. Come, per esempio, This Magic Moment cantata da Lou Reed in un rallenty con protagonista le curve mozzafiato di Patrica Arquette alias Renee/Alice. O i brani di David Bowie (I’m Deranged ad aprire la ”corsa” iniziale), di Marilyn Manson, dei Rammstein, ”poggiati” sulla musica scritta appositamente da Angelo Badalamenti.

Inutile riassumere la trama, perché dopo un’inizio dilatato e solo in apparenza ordinato, dove si respira un’aria rarefatta e artificiale – come il dormi-veglia che anticipa il sonno – in cui sembra che la coppia sia spiata da un voyeur (che ama filmarli, inviandogli poi delle anonime VHS), Fred Madison, macchiato di un brutale evento, secondo alcune teorie, intreccerà nelle ombre del suo cervello diverse realtà, creando un alter-ego di se stesso, che sarebbe il giovane Pete Dayton, e una parte inquietante e omicida: l’Uomo Misterioso (personaggio cult del cinema, con l’ambiguo volto di Robert Blake, andatevi a leggere la sua storia), con telecamera in mano (artefice delle suddette spiate) e con il dono della ubiquità – che, sempre secondo alcune interpretazione, potrebbe essere la figura di Lynch come regista e narratore onnisciente.

Su Strade Perdute, grazie alla sua orgia di pulsioni erotiche, metaforiche, ancestrali, fin dalla sua uscita, moltissimi scrittori, critici e studiosi hanno detto la propria. Perfino David Foster Wallace che in un saggio raccolto in “Tennis, tv, trigonometria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più”, ha definito il film come “Un possibile fiasco alla Dune o un capolavoro del calibro di Velluto Blu […] L’unica cosa che sento di poter dire con totale sicurezza è che il film sarà: lynchiano”. Lo scrittore, nel saggio chiamato “David Lynch non Perde la Testa”, va alla ricerca semantica dei significati, dei significanti e dei referenti celati nei film dell’autore di Twin Peaks, racchiudendo in una frase tutto il perché Strade Perdute, Velluto Blu e il ciuffo di Lynch siano pilastri fondamentali, in grado di aiutare (forse) il ”semplice” uomo alla comprensione del trascendentale, dell’assurdo, dell’arcano: “L’assenza di senso o di finalità riconoscibili nei film di Lynch, però, ti spoglia di queste difese subliminali e fa sì che Lynch ti penetri nel cervello come i film normalmente non fanno […] Quasi come incubi (del resto, anche nei sogni siamo privi di difese). Di fatto, questo potrebbe essere il vero e unico obiettivo di Lynch: entrarti nella testa”. E, aggiungiamo noi, non facendolo uscire più, con la paura e il tormento che prima o poi qualcuno citofoni alla nostra porta dicendo: «Dick Laurent è morto».