A Different Man, la recensione del film con Sebastian Stan alla Berlinale 2024

Presentato in concorso al 74mo Festival del Cinema di Berlino

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Sebastian Stan, A Different Man

Diventare conformi agli ideali di bellezza imposti dalla società significa anche perdere la propria identità reale? È quello che si chiede il regista newyorkese Aaron Schimberg in A Different Man, lungometraggio in concorso al 74mo Festival del Cinema di Berlino, racconto surreale tra il thriller e la commedia con delle punte horror splatter, in cui Sebastian Stan (Captain America: The First Avenger, 2011) passa dall’essere un uomo dal volto deforme ad un affascinante professionista di successo disorientato. Al suo fianco anche Renate Reinsve (La persona peggiore del mondo, 2021), miglior attrice al Festival di Cannes 2021, e l’attore britannico Adam Pearson, realmente affetto da neurofibromatosi.

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IL FATTO

Edward, attore newyorkese, si sottopone a un intervento chirurgico radicale per trasformare drasticamente il suo aspetto. Da quel momento molte cose cambiano nella sua vita, eppure tutto rimane inquietantemente uguale. Il suo aspetto è cambiato e può iniziare una nuova vita, ma Edward è ancora quello che è e non ciò che vorrebbe essere. Quando perde il ruolo più importante della sua vita, il suo nuovo volto da sogno si trasforma in un incubo.

L’OPINIONE

A Different Man è il terzo lungometraggio di Aaron Schimberg, regista attento ai temi della disabilità o della deturpazione e al tempo stesso dalla grande capacità visionaria e narrativa. In questo film Schimberg porta il suo racconto oltre i limiti del reale senza perdere però il contatto con l’umanità dei suoi personaggi, in una storia che ha continue svolte narrative sorprendenti, sviluppata con un’estetica delle immagini fortemente espressiva.

Edward vive in un mondo sospeso tra normalità e deformità. Il suo desiderio più grande è quello di poter vivere una relazione sentimentale come tutti gli altri esseri umani, ma si accorge ben presto che l’aspetto esteriore è solo uno dei molteplici dettagli che compongono la complicata gestione del proprio sé e delle interazioni tra le persone.

Quando Edward letteralmente si sveste della propria deformità, con una metamorfosi tanto dolorosa quanto raccapricciante, è costretto a confrontarsi con il mondo con un aspetto decisamente più affascinante, ma privo di quella maschera dietro cui poteva forse nascondere qualcosa di più brutto del suo volto precedente.

Il tema delle maschere, l’ancestrale fiaba de La bella e la bestia che contrappone l’aspetto interiore all’immagine esteriore e una punta thriller alla Dr Jekyll e Mr Hyde, sono i fili su cui Schimberg si muove in un continuo, spiazzante ribaltamento di prospettive narrative che induce a chiedersi chi siano davvero i personaggi del film e quanto il loro aspetto li definisca per ciò che sono.

Il bello e il brutto, il buono e il cattivo, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato: in A Different Man sono concetti che acquisiscono continuamente sfumature diverse e sottili in rappresentazioni che, più che chiarire, sembrano voler confondere per restituire, attraverso un racconto del tutto surreale, tutta l’assurdità del reale e l’assenza di strumenti per poterlo comprendere.

A Different Man è un gioco di specchi in cui i piani si confondono con gusto. Un attore reale e di successo come Sebastian Stan interpreta un uomo deforme, anche lui attore, che, proprio quando dovrebbe gioire per essersi liberato della mostruosità che lo affligge, trova in un altro interprete veramente affetto da neurofibromatosi, Adam Pearson, qui alla sua seconda collaborazione con Schimberg, la sua nemesi ed è indotto a riprendere su di sé l’odiata maschera. Al tempo stesso la bella Renate Reinsve, inizialmente principessa salvifica, rivela anche lei alla fine una sua deformità interiore.

Senza negarsi qualche punta di spirito, Schimberg compone un thriller che potrebbe far tornare al tormentato concetto pirandelliano del contrasto esistente tra la percezione che ciascuno ha di sé e il modo con cui gli altri ci percepiscono e ancora quanto un difetto o una malformazione estetica ci definiscano rispetto a noi stessi e rispetto agli altri.

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The Elephant Man (1980) di David Lynch con Anthony Hopkins e John Hurt, racconto della storia vera di Joseph Merrick, un uomo affetto da gravi deformità fisiche che viene esibito come fenomeno da baraccone prima di trovare comprensione e accettazione.

RASSEGNA PANORAMICA
voto
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