A Stranger Quest, il viaggio esistenziale di Andrea Gatopoulos tra mappe e intelligenza artificiale

Amore per l'ignoto, AI, scioperi a Hollywood e futuro dell'umanità in lotta col capitalismo. La nostra conversazione con il regista Andrea Gatopoulos al Torino Film Festival per il documentario A Stranger Quest

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Andrea Gatopoulos

Se non l’avete ancora fatto, cercate sul web il nome di David Rumsey e fate un salto sul suo sito, David Rumsey Historical Map Collection. Scoprirete non solo uno dei lavori più singolari mai fatti negli ultimi decenni, ma proverete l’emozione di navigare in una delle più grandi collezioni di mappe al mondo. Una ricerca, affascinante e minuziosa, che è alla base del documentario A Stranger Quest scritto, diretto e prodotto da Andrea Gatopoulos, passato in anteprima assoluta al recente Torino Film Festival nella sezione Documentari Italiani.

Al suo primo lungometraggio dopo i corti Materia Celeste (2019) e Polepole (2021), Gatopoulos, pescarese di 29 anni, ha già all’attivo collaborazioni con alcuni registi di fama mondiale come Werner Herzog e Radu Jude, ma è con la sua casa di produzione indipendente, Il Varco, che si dimostra una delle più interessanti voci (fuori dal coro) del panorama dei giovani registi e produttori italiani. E il bagaglio culturale con cui sorregge la sua promozione di A Stranger Quest ne è una valida prova. Con lui a Torino abbiamo avuto il piacere di parlare della sua opera-atlante dedicata a Rumsey, ma anche di passione per le esplorazioni, intelligenza artificiale, lo sciopero SAG-AFTRA a Hollywood e futuro dell’umanità.

A Stranger Quest è un progetto molto coraggioso e decisamente anomalo per il panorama cinematografico italiano, sia per lo stile, sia per i contenuti. Com’è nata l’idea e da dove nasce il tuo interesse per la cartografia?

Dopo aver finito il cortometraggio Happy New Year, Jim, girato nel mondo dei videogiochi, ho cercato di sviluppare il tema delle Colonne d’Ercole e della spinta che l’uomo fin dall’incipit della specie ha avuto nel superare l’ignoto. Oggi questo sentimento risulta problematico perché il mondo sembra essere stato esplorato una volta per tutte definitivamente. Viviamo nell’epoca dei satelliti, abbiamo in tasca mappe con scale 1 a 1 che possiamo esplorare tra le dita. Da qui mi sono chiesto dove fosse finito quel sentimento. L’ho ritrovato nel mondo videoludico, dove spesso i giocatori cercano di uscire dai confini, cercano il glitch, posti al di fuori della mappa, quasi come se il mondo fosse una gabbia e la mente umana uno strumento teso ad una libertà ultraterrena. Volevo fare un film su questo sentimento. Nel fare ricerche, mi sono accorto che le mappe storiche, quelle risalenti a prima della scoperta dell’America, mostravano terre sconosciute, ai cui margini c’erano mostri, creature mitologiche, scritte come hic sunt draconeses. Erano mappe piene di mistero, che davano un grande senso di avventura. Quando questa cosa è andata a svanire, l’essere umano ha perso una delle più importanti ragioni di vita, ovvero la possibilità di scoprire qualcosa di ignoto.

Questa ricerca ti ha portato a scoprire l’esistenza di David Rumsey.

Sì, sono finito nel sito web di David Rumsey, che è un archivio privato di circa 170 mila mappe storiche. Ho calcolato che per fare un archivio con questi numeri, da solo, senza nessuna istituzione dietro, dovrebbe aver studiato circa 15 mappe al giorno. Mi è sembrata una di quelle missioni sul sentimento che cercavo di indagare. Quando ho scoperto che David ha costruito un museo con un avatar che volava in quelle mappe, mi sono accorto che questa persona poteva essere un punto di convergenza. Ci siamo piaciuti subito, ci siamo trovati simili e da lì è nato il film.

Nel documentario si affronta il tema dell’eredità e della morte. Un lavoro così minuzioso e pieno di passione come quello svolto da Rumsey non sarebbe replicabile al giorno d’oggi, dov’è tutto scorre veloce. A quale riflessione porta A Stranger Quest?

Una delle grandi domande del film è proprio “come cambierà la morte?“. Con l’avvento delle intelligenze artificiali, delle scansioni, degli avatar, cambierà la morte degli esseri umani, non intesa come continuazione fisica della vita, ma come ricezione che ne avranno gli altri. La nostra immagine con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale continuerà a parlare, il nostro corpo continuerà a muoversi e la nostra voce ad esprimersi. È un grande cambiamento dell’orizzonte umano e questo aspetto viene affrontato nel documentario. L’archivio di Rumsey resisterà, anche se lui non ci sarà più. Mi chiedo come si morirà tra 10 anni? Forse potremo ancora parlare con i nostri genitori, potremo quasi resuscitare. Da un lato è fantastico, ma anche terrificante perché si va a sostituire l’incognito con qualcosa di artificiale e fintamente sostitutivo. Anche il tuo lavoro, come tanti altri, se ci pensi, tra qualche anno potrà farlo l’intelligenza artificiale.

L’avatar di David Rumsey mostrato in A Stranger Quest

A tal proposito… è di forte attualità la lotta portata avanti dal sindacato SAG-AFTRA sull’uso dell’intelligenza artificiale in sostituzione degli attori. Tu come la vedi?

Esiste un film di 10 anni fa di Ari Folman che indaga questo argomento. Si chiama The Congress. L’attrice protagonista [interpretata da Robin Wright ndr] è ormai invecchiata e per lo star system non è più la star che era un tempo. Le viene proposto di essere scannerizzata, di vendere la sua voce e le sue espressioni, il suo corpo e la sua emotività ad una company che le fa un contratto. È un film molto visionario in tal senso, che si perde in un rabbit hole di animazione come un romanzo postmoderno di Beat Generation. È un film che aveva previsto tutto questo.
Tornando allo sciopero SAG-AFTRA, ritengo che sia il primo esempio di luddismo del mondo digitale. È da un lato un ottima notizia, ma ha a che fare più con il mondo del lavoro che con l’orizzonte esistenziale della recitazione. È una lotta per far valere i diritti delle persone e dare la possibilità di una sussistenza economica lavorativa, che è ancora un dialogo con il capitalismo. Quello che dobbiamo fare oggi è capire come l’intelligenza artificiale dialogherà con la politica e con l’esistenza umana. La minaccia è molto più ampia rispetto alla sostituzione di un lavoro. La lotta contro l’intelligenza artificiale non è una lotta contro la tecnologia, ma contro il potere e contro il capitalismo. L’intelligenza artificiale corona il sogno del capitalismo, che è quello della sostituibilità totale del lavoratore, dove la persona è ricattabile perché sostituita da un’altra può produrre gli stessi risultati. La lotta SAG-AFTRA è solo il primo capitolo di una lotta che sarà molto più ampia. E che o accade o si arriverà ad un processo di sostituzione molto problematico.

Una scioperante di Hollywood, foto presa dal web

Visto che parliamo di futuro, cosa c’è nel futuro di Andrea Gatopoulos in veste di regista e produttore?

Vorrei imparare a cimentarmi con un film di finzione, lavorare con un budget e una troupe, così da confrontarmi con l’industria e vedere se può ragionare su questi temi con la stessa libertà e profondità che sono riuscito a pretendere da me stesso facendo film in casa, dato che finora sono stato il committente di tutti i miei lavori. Mi piacerebbe sfidare il cinema e i limiti dell’uscita in sala, del pubblico, della diffusione più ampia e capire se è possibile portare una storia di finzione narrativa in una dimensione di ricerca e speculazione. So che probabilmente mi serviranno anni, perciò nel frattempo mi piacerebbe scrivere un romanzo. A mio avviso la letteratura resisterà più a lungo delle immagini, perché le intelligenze artificiali  – per fortuna – sembrano non riuscire ad imparare il mistero della poesia. È molto più semplice generare una bella immagine con l’IA piuttosto che una bella frase emozionante. Per questo credo che la letteratura resterà più a lungo e porrà più sfide.

Guarda qui l’intervista ad Andrea Gatopoulos