Fino all’ultimo respiro (À Bout de Souffle,1960), il primo film diretto da Jean-Luc Godard, è diventato il manifesto della Nouvelle Vague, il movimento cinematografico che fece della libertà e della rappresentazione autentica della poesia del reale il proprio punto di riferimento. Caratterizzò un’epoca, definì uno stile, ma per chi lo visse fu prima di tutto un’esperienza entusiasmante. Ed è quest’ultimo aspetto che il regista Richard Linklater, 4 volte candidato agli Oscar, ha voluto esplorare con Nouvelle Vague, film in concorso al 78° Festival di Cannes che ripercorre il making of del capolavoro di Godard.

“L’obiettivo era quello di far sentire il pubblico dentro la Nouvelle Vague del 1959. Quest’epoca rappresenta molto per me e per la mia filmografia, per quel senso di libertà”, ha detto Linklater in conferenza stampa a Cannes 2025. Con un cast eccellente in cui Guillaume Marbeck interpreta il critico cinematografico della storica rivista Cahiers du cinéma e neo-regista Jean-Luc Godard, Zoey Deutch nei panni della luminosa Jean Seberg e Aubry Dullin nel ruolo di Jean-Paul Belmondo, i due protagonisti di Fino all’ultimo respiro, Nouvelle Vague ricrea un’epoca con i suoi personaggi, le sue atmosfere e il suo modo di vedere e sentire il cinema.
“Dopo aver fatto tanti film così a lungo, penso che tutti forse dovrebbero un film sul fare un film. Non volevo parlare di un mio film, ma di un’opere che ha ispirato intere generazioni – spiega Linklater – Se penso alla storia del cinema in oltre 130 anni, Fino all’ultimo respiro si pone esattamente nel mezzo. È stato bello e divertente imparare tutto su un film che rappresenta un momento così importante nella storia del cinema, c’è molto materiale su cui fare ricerca, ed è ancora così moderno”.
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Sulla carta poteva apparire un’idea folle e lo stesso regista e sceneggiatore ne era consapevole, sebbene non sia nuovo ad esperimenti del genere. Basti pensare alle riprese di Boyhood, iniziate nel 2002 e terminate nel 2013, dodici anni in cui Linklater ha radunato ogni anno la stessa troupe e lo stesso cast per girare alcune scene, in modo da seguire la crescita dei personaggi di pari passo con quella degli attori stessi.
Anche Nouvelle Vague ripercorre in un certo senso quella follia. Girato per lo più in francese, in Francia, tra Parigi e Marsiglia, in 4:3, in un bianco e nero che imita l’effetto della pellicola, ricorrendo spesso all’uso della camera a mano e ad un montaggio ellittico, il film è prima di tutto una vera esperienza cinematografica, un emozionante viaggio che lascia credere davvero di essere in quell’epoca, in quei luoghi e su quel set. Una finzione che imita la realtà, una menzogna credibile e gradevolissima da guardare.
“So che era un’idea folle realizzare un film del genere. Non puoi imitare Godard, ma puoi sentire lo stile di quell’epoca”, racconta Linklater che ha voluto che il film fosse girato in francese perché è una lingua che “ha un bel suono, aggiunge un colore in più nella palette, non è stata una barriera”. E anche nella scelta degli attori ha prestato molta attenzione alla somiglianza fisica con i personaggi reali del film di Godard: “Ho fatto diversi viaggi in Francia, a Parigi per preparare il film ed era molto importante per me la scelta del cast. Volevo che ci fosse una somiglianza con i personaggi, oltre che fossero dei grandi attori. Cercavo la magia e quando questa arriva la riconosci. Abbiamo lavorato tutti duramente, ma fare un film è anche un trucco magico, il cinema è magia e quando ho visto questo film ha portato anche me in quell’epoca”.
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