Elemental, intervista al regista Peter Sohn

Idea, estetica, scena di un (altro) film del cuore. Peter Sohn racconta a Ciak i segreti del suo Elemental, al cinema dal 21 giugno con Disney Pixar

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«Non ero bravo in chimica, ma la trovavo molto interessante!». Se vi foste domandati cosa abbia spinto Peter Sohn a scegliere Acqua e Fuoco come protagonisti del suo nuovo film, Elemental, abbiamo la risposta che che fa per voi: un gioco di scarabocchi. Nessun forte amore per la tavola degli elementi, i legami chimici o le molecole, ma un ‘semplice’ sperimentare con la penna.

Un’idea piaciuta subito alla Pixar, che dopo aver dato vita nel corso degli anni a giocattoli, insetti, macchine, robot e quant’altro non si è tirata indietro, scegliendo di animare, per la prima volta, anche gli elementi. Nasce così il secondo lungometraggio di Sohn (dopo il poco fortunato Il viaggio di Arlo, 2015), come ha raccontato lui stesso a Ciak nel corso della presentazione stampa del film a Roma «L’idea è venuta da sola. Quando scarabocchi, la tua mano e la tua mente viaggiano da sole. E così mi sono nati i due personaggi di fuoco e acqua, da un gioco di scarabocchi». Dal tratto si è passati alla storia e alla costruzione di una città intesa come melting pot di culture, nella quale convivono abitanti composti ciascuno da uno dei quattro elementi.

E se da una parte l’innamoramento di una vivace ragazza di fuoco di nome Ember e un sensibile ragazzo d’acqua di nome Wade apre riflessioni sul tema diversità (insieme ad una serie di sfaccettature tematiche, dall’immigrazione all’ambientalismo), sono i dettagli sui colori e sull’aspetto urbano a lasciare il segno visivo su Elemental. Oltre ovviamente al divertentissimo “pianto di Wade” che abbiamo voluto approfondire insieme al regista nella nostra chiacchierata, chiedendo lui una particolare scena di un film che lo fa piangere sempre.

L’animazione di Element City è ricca di colori e geometrie, richiama in positivo quella di Zootropolis. Come ci avete lavorato?
Adoro Zootropolis, non avrei mai potuto copiare nulla da lì. [All’inizio della lavorazione] cercavo di costruire la città per divertimento, ma non funzionava. La risposta è arrivata da Ember (il personaggio principale) e dal suo non sentirsi “accettata” dalla città in quanto Fuoco. Abbiamo cominciato a sviluppare Element City da quel sentimento, dalla non appartenenza di Ember, fino alla sua trasformazione. Siamo arrivati alla conclusione che la città dovesse sembrare ‘speranzosa’, un luogo dove potessero crescere i sogni. Una volta sviluppata la storia di Ember e dei suoi genitori, abbiamo aggiunto alla città vari elementi lungo il percorso.

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Pensando a Wade che scoppia a piangere per un nonnulla, c’è un film o una scena particolare di un film che ti fa piangere ogni volta che la vedi?
Sì, Tutti insieme appassionatamente (The Sound of Music il titolo originale). C’è una scena che fa piangere sempre mio padre e di conseguenza anche me. Quand’ero piccolo lo vedevo scoppiare a piangere e non capivo. Il momento è quando il Capitano [interpretato da Christopher Plummer ndr] torna a casa e vede i figli tutti bagnati, vestiti con dei drappi dopo esser caduti dalla barca. Lui licenzia Maria [Julie Andrews], ma i figli cominciano a cantare, facendogli cambiare idea. Lui le dice «Lei ha riportato la musica in questa casa» e si scusa. Ecco, quelle parole mi fanno sempre piangere. Non posso farci niente!

Guarda qui la video intervista a Peter Sohn

Elemental: Valentina Romani, Stefano De Martino e Mr. Rain tra fuoco e acqua | Intervista