“Il Demone dell’Acqua”: l’immigrazione in versione sci-fi al Trieste Science+Fiction 2017

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Dal 31 Ottobre al 5 Novembre si svolge la 17° edizione del Trieste Science+Fiction Festival, il più importante evento italiano dedicato alla fantascienza e al fantasy tra grande e piccolo schermo. All’interno della sezione Spazio Corto di Spazio Italia sarà presentato in anteprima il suggestivo cortometraggio Il Demone dell’Acqua, diretto da Cristian Tomassini e interpretato da Anthony Thay Ogbemudia, Maria Vittoria Casarotti Todeschini e Sara Zampollo. Il giovane regista italiano propone una visione onirica e sci-fi del fenomeno dell’immigrazione, sempre più spesso al centro della cronaca nel nostro paese, raccontando un sogno iperbolico e psichedelico con espliciti riferimenti al cinema degli anni ’70 e ’80. Il protagonista è Kanu, un ragazzo etiope che è alla ricerca di una nuova vita in Europa. A bordo di un barcone con altre anime disperate, egli tiene tra le mani una lettera quando si addormenta profondamente, andando incontro ad un terribile naufragio. Nel sogno Kanu diventa Kurtz, il dittatore di un impero decadente chiuso dentro un’antica villa coloniale, mentre una voce femminile fuori campo descrive gli ultimi momenti della sua vita.

Prodotto dall’associazione Indivision, Il Demone dell’Acqua è frutto della passione e dell’impegno di un gruppo di giovani talenti del padovano che, con un budget ridotto, hanno realizzato un breve ma intenso viaggio sperimentale che emoziona, analizzando l’attualità sotto la lente della fantascienza, con una fotografia immersa in colori vivaci e una colonna sonora elettronica volutamente vintage. Cristian Tomassini ha sviluppato la sceneggiatura insieme a Silvio Marotta, e in questa intervista ci ha parlato della genesi e della lavorazione de Il Demone dell’Acqua. 

Come è nata l’idea di questo cortometraggio?

Da circa un anno e mezzo avevo per le mani una sceneggiatura che raccontava la storia di un dittatore in declino, alla fine del suo potere. Era un cortometraggio basato molto sul lato estetico, quasi un fashion film. Ma mancava qualcosa, mancava quel senso in più che avrebbe fatto valere la pena di metterlo in produzione. Poi, durante una cena con quello che sarebbe diventato il direttore della fotografia de Il Demone dell’Acqua (Beniamino Gelain), è venuta fuori l’idea di trasformare un rifugiato in protagonista e da lì è nato tutto. Tutto ha avuto un senso. L’idea dell’acqua come filo conduttore è nata dal mio co-sceneggiatore Silvio Marotta, che, in uno dei suoi deliri, ha partorito il centro focale del film. Poi è stato solo un lavoro sartoriale, per cucire e assemblare tutte le idee.

Quali sono state le difficoltà maggiori per realizzarlo?

I soldi. È sempre quello il problema. Ma per questo ci ha aiutato molto l’associazione INDIVISION, nata a Padova con l’ obiettivo di valorizzare il cinema indipendente. Siamo un gruppo di professionisti che hanno deciso di mettere da parte il lato economico ogni tanto, e fare cinema a proprie spese, contando solo sulle proprie fatiche. Le difficoltà sono enormi, ma se hai una buona squadra niente ti può fermare.

Come hai trovato i tre protagonisti principali? Cosa ti ha colpito in loro?

Anthony è un ballerino bravissimo, ma non aveva mai recitato prima. Gli ho chiesto di fare il meno possibile e il suo corpo con il suo modo di muoversi hanno fatto il resto. È una persona speciale. Per quanto riguarda Maria Vittoria io l’ho voluta da subito, l’avevo vista ne Il Segreto d’ Italia e mi era piaciuta molto: dolce e dura allo stesso tempo. L’idea della stenografa mi è balenata in testa pensando a lei, quindi quella parte le è stata cucita addosso. Poi abbiamo discusso molto sulla sceneggiatura del corto, ci siamo confrontati spesso e abbiamo fatto il meglio che potevamo per rendere al meglio il suo ruolo. Sara Zampollo è di una bellezza androgina e fanciullesca, perfetta per una fata del male.

Il corto prevede una serie di effetti visivi particolari. Come li hai realizzati?

Tommaso Luzi mi è venuto incontro. Ha lavorato qualche anno alla Weta in Nuova Zelanda ed è un ottimo scenografo. Bravissimo con gli effetti pratici. Ha costruito tutta una serie di pompe idrauliche e strutture di tubi che, una volta posizionate, hanno permesso tutti gli effetti con l’acqua. Che erano quelli che mi preoccupavano di più perché l’acqua è ingestibile, e in un attimo puoi trovarti a piedi nel bel mezzo della produzione.

A quali registi ti ispiri per i tuoi lavori?

Io sono cresciuto con il cinema prodotto negli anni ’70-’80. Il mio genere preferito è l’horror quindi direi la triade: John Carpenter, Dario Argento e George Romero. Ma ne Il Demone dell’Acqua ci sono dentro anche Fulci, Bava e Cronenberg. Fondamentalmente io adoro il cinema di genere italiano anni ’70 ed il new horror americano. Cerco di mescolare tutto questo nei miei lavori. Ovvio che ogni tanto non disdegno di perdermi dentro i film di Fellini, Lynch o Tarkovsky. Quella è arte allo stato puro, il resto è intrattenimento.

La messa in scena di questo corto è molto onirica e gioca sulla metafora, come mai hai scelto questo stile?

Beh credo che la dimensione onirica sia fantastica. Il sogno di per se è molto simile all’immaginazione, fatto della stessa materia. Immaginare è ricreare nella mente un qualcosa che non c’è e la cosa bella del sogno è che non lo puoi fermare o controllare. Un po’ come il processo creativo della scrittura di un film: di fatto scrivere e realizzare un film è riprodurre un sogno ad occhi aperti. Questa è la cosa bella del cinema a mio parere. Poi immaginare un sogno a livello cinematografico non ti pone nessun limite creativo, puoi spaziare ovunque a livello narrativo e metaforico senza cognizione di causa. La cosa interessante è utilizzare questo espediente per raccontare qualcosa di reale e tangibile in maniera diversa o insolita. Qui ho cercato di raccontare l’eccesso del potere, ma anche di prendere un po’ in giro le false paure dell’italiano medio di oggi, quello che pensa di essere invaso dai rifugiati.

Questo corto propone infatti una visione personale e originale dell’immigrazione. Pensi che sia importante analizzare questo fenomeno in una chiave diversa, per far riflettere la gente e spingerla ad un cambiamento?

Si, la gente vede il mondo da mille prospettive diverse prima di avere un opinione. Il Demone dell’Acqua  è esso stesso un ribaltamento di ruoli continuo: il nero è un dittatore bianco, il bianco è un invasore religioso. Quel che mi premeva far capire con questo film è che non c’è nessuna invasione in atto in Italia ( gli invasori nel corto sono delle ombre sul muro, come ombre di pupi siciliani). E che il problema generale dell’uomo è l’essere umano. Non la razza o il credo politico-religioso. L’uomo dentro di sé non è ne buono ne cattivo, ma di un grigio perenne.

Hai visto qualche film su questo tema per preparare il corto?

Ho rivisto film che apparentemente non c’entrano nulla. Stalker di Tarkovsky, Salvate il Soldato Ryan e il capolavoro di Dario Argento Suspiria. In realtà anche The Neon Demon ha fatto molto la sua parte.

Hai già idee per il prossimo lavoro da filmmaker?

L’obiettivo primario sarebbe un lungometraggio, ma i costi sono insostenibili. Vorrei ambientare uno slasher movie nelle campagne venete, un classico film horror ma con un’ estetica particolare. Quasi un Fashion Slasher insomma. Le cose più fattibili invece sono dei cortometraggi. Ne ho uno scritto che vorrei girare che parla di un ragazzo delle consegne di una pizzeria di paese che si trova in una casa “degli orrori”.

Si avverte in questo corto anche una particolare attenzione alla musica… 

Io suono il basso. Adoro il ritmo e la musica, sono fondamentali per il lavoro di filmmaker. Ultimamente (da quasi tre anni) mi sono appassionato alla musica vecchia scuola anni ’80, con i sintetizzatori e le batterie elettroniche. C’e stato un grosso ritorno ultimamente a quel periodo e questo mi fa molto piacere essendo nato proprio a metà di quel decennio. Il Demone dell’Acqua è immerso negli anni Ottanta!

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