Hotel Gagarin, come girare un film in Armenia: intervista a Simone Spada

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«Gli ultimi venti o trent’anni di vita italiana – non solo politicamente, culturalmente e socialmente – hanno messo in crisi molte cose. La mia ambizione è aver fatto un film “positivo”, in cerca di riscatto interiore…» racconta a Ciak Simone Spada, autore dell’opera prima Hotel Gagarin, presentata ieri sera in concorso lungometraggi all’Ischia Film Festival e ancora nelle sale (domani sera, martedì 3 luglio, il film verrà presentato da Nanni Moretti alla rassegna Bimbi belli, all’Arena Nuovo Sacher di Roma).

Hotel Gagarin racconta il viaggio di cinque italiani spiantati e falliti che si ritrovano in Armenia a girare un film. L’improbabile quintetto è interpretato da un bel gruppo d’attori, in cui spiccano l’aspirante regista Nicola-Giuseppe Battiston e l’aspirante attrice Patrizia-Silvia D’Amico. Incontriamo Simone Spada sulla terrazza dell’Albergo Monastero di Ischia, all’interno del Castello Aragonese. Mentre lo intervistiamo arriva un ragazzino di una decina d’anni, la maglietta di Star Wars indosso. Chiede: «Sei tu il regista del film di ieri?», «», «Bravo. Molto bello!» e se ne va. «Fa molto piacere sentire un bambino che mi dice questo, perché in effetti il mio film è un po’ una fiaba…».

Da oltre vent’anni ha lavorato come aiuto regista o regista della seconda unità di tantissimo cinema italiano, da La mia generazione di Wilma Labate a Il permesso di Claudio Amendola (tra i protagonisti di Hotel Gagarin), passando per i primi due film di Checco Zalone e Jeeg Robot. Cosa l’ha spinta alla prima regia completamente sua e com’è nata la prima idea per Hotel Gagarin?

Ci pensavo da un po’ di tempo. Volevo trovare la storia adatta a raccontare come mi sentivo: un precario dell’anima e della vita. Il senso di instabilità potevo metterlo a fuoco solo con il cinema. Viviamo tempi complicati e mi auguro che, attraverso il film, emerga anche il potere salvifico dell’immaginazione. Nella realtà contemporanea sembra venuto a mancare lo spirito “umano”. In un periodo in cui vengono chiusi porti e porte, dovremmo tornare tutti un po’ più “cristiani” e lo dico da agnostico razionalista. Intendo il cristianesimo come apertura verso l’altro. Se non apriamo anche le porte percettive, l’immaginazione non ha futuro…

Aveva già diretto dei cortometraggi o altri lavori personali?

Molti anni fa avevo realizzato un paio di corti e un paio di documentari. Un documentario raccontava la storia di un comitato popolare di lotta per la casa e si intitolava La prima cosa. L’altro era la storia di una squadra di calcio di ragazzi Rom, un gruppo di giovani che deve darsi delle regole per convivere nel rettangolo di gioco e, se c’è un popolo che non ha regole scritte, è proprio il popolo Rom. Non è facile realizzare opere indipendenti in Italia, sia documentari che fiction…

Il set invernale armeno di Hotel Gagarin, sempre nella neve, immagino sia stato piuttosto complicato.

Abbiamo girato 5 settimane in Armenia, tra gennaio e febbraio, con temperature che oscillavano tra i meno 20 e i meno 30 gradi. Per la sequenza iniziale della centrale nucleare (ricreata in postproduzione), pensavo di fare molte più inquadrature, mi sono dovuto fermare perché ci stavamo congelando. Una delle attrici (Caterina Shulha, nda) era davvero incinta come il suo personaggio e ho pensato stessimo rischiando troppo. Il primo giorno, quando siamo arrivati in albergo, alcune stanze non erano state riscaldate. Alcuni ragazzi armeni sono saliti con un phon per tentare di aumentare almeno un po’ la temperatura! Tutto molto surreale, sembrava parte integrante del film.

Il suo prossimo film?

Dopo l’esperienza “ghiacciata” in Armenia, lo girerò sotto casa o quasi, a Roma. Sarà scritto da altri, io mi occuperò esclusivamente della regia. Cominciamo a settembre, di più non posso dire.

Luca Barnabé