Nostra Signora dei Turchi alla Mostra di Pesaro: ecco perché Carmelo Bene è ancora uno shock visivo assoluto

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Ogni tanto la terribilità di Carmelo Bene viene rievocata dalla infame tomba dell’oblio cui si è soliti destinare l’appena ieri scomparso (cinema, teatro, musica, spettacolo). E ogni volta la sua eccentricità non solo ci stupisce ma ci travolge e avvolge, evidenza possibile di un’arte che fonde indissolubilmente l’artista alla sua opera come poche altre nello storia dello spettacolo, non solo italiano.

Tra i piatti forti della 54ma edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro (16-23 giugno: di cui esporremo il cartellone in un altro articolo), teoricamente a omaggiare i 50 anni dall’uscita di Nostra Signora dei Turchi, ecco l’anti-sessantotto personale di Carmelo Bene. Ora di quel film, quella sorta di autodenigrazione in forma di monologo interiore di un intellettuale pugliese nei confronti della cultura e subcultura che in qualche mondo l’ha partorito (nel delirio sogna anche di essere una vittima dell’assalto dei Turchi a Otranto, quasi una profezia) e, come una maledizione, inchiodato a se stesso e da cui può liberarsi solo attraverso la propria autodistruzione e l’invettiva, vengono qui proposti, nella gloriosa cornice di un festival sessantottino per eccellenza, i “rushes”, ovvero tutte le riprese (in bianco e nero, mentre il film è in realtà girato nel coloratissimo Ektachrome) effettuate.

Praticamente un “mostro” di 11 ore e mezza di girato e qui presentato a generare, quasi sicuramente per chi vi assisterà, uno shock visivo assoluto (del resto a cosa serve il grande cinema se non a questo? Cioè se non a turbare i nostri equilibri estetici-culturali?). Ricordiamo, per contestualizzare un po’ Nostra Signora dei Turchi nel suo tempo, che il film fu presentato nella contestatissima Mostra del Cinema a Venezia di quell’anno, con l’autore assolutamente contrario a seguire gli inviti dei cineasti e intellettuali che invitavano al boicottaggio e con una tumultuosa proiezione, cui fece seguito anche qualche scontro (epico quello, fisico, tra Bene e l’inviato della Rai Carlo Mazzarella) e che comunque vinse uno speciale Leone d’Argento (pare più per le pressioni della stampa estera che non per i giudizi di quella nazionale ostracizzata da Bene). Di quel film, “sfigurata parodia del cinema” (parola dell’autore), tratto da un suo romanzo, fu fatta una prima versione di circa 142 minuti (con un montaggio scientemente vandalizzato dallo stesso Bene e i suoi collaboratori, quasi a privilegiarne il sonoro), poi rimontato dal cineasta in una versione di 125 che è quella oggi disponibile anche in dvd.

Come ne ha scritto con notevole lucidità Alberto Moravia, definendo Nostra Signora dei Turchi, “magmatico, parossistico e tenebroso nel suo soliloquio”: «L’originalità dell’operazione consiste nell’aver trasformato le provincia fisica nella quale è nato in provincia culturale. Ma come tutte le rivolte, anche quella di Bene attacca per meglio affermare». Sicuramente è l’opera sua più intima, autodistruttiva, di un genio dall’approccio urtante e divisivo, sicuramente più legato al teatro, che ebbe con il cinema un rapporto saltuario e quasi barbaro, regalandoci comunque perle magari non immediatamente godibili, come i successivi Capricci, Don Giovanni, il capolavoro Salomè e Un Amleto di meno.