I 40 anni di E.T. l’extraterrestre

Il film sul celebre alieno è ancora oggi tra i titoli più iconici di Steven Spielberg e della sua poetica dell’infanzia

0

La fantascienza ha proposto alieni minacciosi fino a quando, grazie a Star Wars e Star Trek, ha abbandonato l’antropocentrismo, mostrando infiniti universi e specie, dove gli umani possono coabitare con forme aliene mantenendo le stesse possibilità di dialogo e conflitto di un qualunque condominio.

Nel 1982 tocca a Steven Spielberg, con E.T. l’extraterrestre, regalarci il più tenero alieno della storia del cinema, realizzato grazie al talento di Carlo Rambaldi, in quello che è stato giustamente definito da Variety come «il miglior film Disney che la Disney non ha mai fatto». Arrivato sulla Terra con altri come lui, approdati per raccogliere esemplari di piante, l’alieno si distrae e rimane appiedato quando la sua astronave (che sembra un Uovo Fabergé alto nove metri) riparte precipitosamente. Saranno il piccolo Elliott (Henry Thomas), suo fratello Michael (Robert McNaughton), la sorellina Gertie (Drew Barrymore) e il loro cane Harvey a proteggere E.T. da scienziati e militari, permettendogli di “telefonare casa”, raggiungere l’astronave di soccorso e ripartire.

Da un’idea nata come elaborazione dell’amico immaginario creato dopo il divorzio dei genitori, Spielberg mette in scena questa fiaba educativa su sceneggiatura di Melissa Mathison (Ponyo sulla scogliera; Il GGG – Il grande gigante gentile) e contrappone la purezza e l’apertura mentale di bambini e animali all’avidità e grettezza degli adulti. Per il ventennale è uscita nel 2002 una versione del film con modifiche ingiustificate: i federali armati che inseguivano E.T. brandiscono ora degli improbabili walkie-talkie anziché le pistole d’ordinanza, rendendo la sequenza ridicola, mentre le correzioni digitali della Industrial Light & Magic nulla hanno aggiunto al fascino del pupazzo di Rambaldi. Spielberg lo ha capito visto che nel giugno 2011, intervistato da Aint’ It Cool News, ha dichiarato: «Non ci saranno più miglioramenti digitali, né aggiunte digitali a qualsiasi film io abbia diretto. Quando le persone mi chiedono quale E.T. dovrebbero guardare, dico sempre di guardare l’originale del 1982». Non possiamo che concordare.

Carlo Rambaldi, da Profondo Rosso a Spielberg

«Ancora oggi le creazioni meccaniche possono avere un ruolo importante, ma quelle dell’epoca pionieristica di E.T., che ci vide realizzare in sole otto persone le 150 riprese con tutte le varianti del personaggio in un mese e mezzo, con un budget di 1.300.000 dollari (sugli 11 milioni complessivi che la Universal aveva messo a disposizione di Spielberg), sono improponibili oggi. Se si dovesse girare E.T. adesso si farebbe in digitale e ci vorrebbe una troupe tecnica di almeno 150 persone, impegnate per cinque mesi, il tutto con costi enormi». Così Carlo Rambaldi ricordava nel 2002 la creazione di E.T., il più tenero pupazzo della storia del cinema, che gli valse il secondo Oscar (condiviso con Dennis Muren e Kenneth Smith) dopo quello per Alien e lo Special Achievement Award tributatogli dall’Academy nel 1977 per King Kong.

Credits foto: ANTONIO IDINI

E dire che questo geniale artista aveva esordito negli effetti speciali col Sigfrido (1957) di Giacomo Gentilomo, realizzando il drago Fafnir le cui scaglie, ricordava con ironia, «erano fatte tagliando a metà e riverniciando dei dischi sottotorta di cartone». Prima di essere consacrato negli USA Rambaldi aveva poi lavorato con Dario Argento, rifornendo i suoi primi thriller (compreso Profondo rosso) di cadaveri e traumatizzanti effetti speciali. «Carlo è stato il vero eroe dei due mondi del cinema italiano», ha detto Argento, «l’ultimo grande raffinato artista degli effetti speciali cinematografici, prima dell’avvento del digitale che ha reso tutto più facile, ma ha anche fatto perdere molta poesia al lavoro. Con lui è finita un’epoca splendida del cinema».